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CAPITOLO 2

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Scuola Apostolica Bertoni. Uno spaccato di vita durante e dopo la guerra.

Capitolo 2

II. Si va a Boscochiesanuova

 

Verso la metà del mese di marzo 1944 il cronista del Bertoniano scrive: "In seguito alle disposizioni dei superiori resta deciso che la Scuola Apostolica si trasferirà a Boscochiesanuova, onde lasciare libera la casa di Sezano per il collegio Stimate. Così agli ultimi del mese, con diversi viaggi di automezzi, si effettua il trasporto di persone e di cose. È l’inizio di una nuova serie d’avventure per la Scuola Apostolica. Ci sistemiamo nella pensione Tinazzi in piazza del Mercato". (Bert. 1946, p. 12).

Da alcuni giorni girava la notizia ma non si voleva credere: sfasciare la Scuola Apostolica per sistemare qualche classe della scuola e i convittori delle Stimate! Ci sembrava impossibile.

Certo la situazione a causa della guerra diventava ogni giorno sempre più difficile e pericolosa. Allarmi aerei frequenti, bombardamenti indiscriminati sulle città, difficoltà d’approvvigionamenti. I superiori delle scuole e convitto delle Stimate avevano fatto ricerche per trovare qualche luogo vicino ma fuori della città per sistemare quelle opere. Tutte le ricerche erano riuscite infruttuose, perché in quei momenti chi poteva si allontanava dalla città. Pensarono perciò alla casa di Sezano come luogo abbastanza sicuro dai bombardamenti, sufficientemente vasto e attrezzato di aule scolastiche. Era stato deciso pure di non accogliere più aspiranti e di rimandare alle proprie case quelli che frequentavano le Medie, per il rischio e le responsabilità che gravavano sull’Istituto verso dei minorenni. Non sta a me giudicare il pro e il contro di una simile scelta.

A noi allora fu detto che bisognava salvare il convitto e le scuole Stimate perché da lì venivano le entrate necessarie per mantenere la Scuola Apostolica. Il Verbale del Consiglio provinciale, al giorno 24 marzo 1944, vol. I p. 74, scrive: "Dato il pericolo molto grave d’incursione, si stabilisce di trasferire il professorio, con tutto il personale, compreso il padre spirituale, a Boscochiesanuova, dove ci è stata offerta la "Pensione Tinazzi", luogo discretamente appartato, a favorevoli condizioni di affitto. Il collegio con parte della comunità Stimate, passa a Sezano che formerà casa filiale dipendente dalle Stimate".

La decisione venne accolta dagli studenti professi e loro formatori con amarezza e contrarietà, ma poi ci si adattò. Non eravamo in tempo di guerra, e forse, nella fase più cruciale?

Il trasloco (il terzo?) si effettuò prima della Settimana Santa. I chierici di teologia (una quindicina) si portarono lassù insieme ai superiori e formatori: p. Emilio Moresco direttore, fratel Carlo Valenti economo, i padri Longo Fausto, Airaghi, Dalle Vedove, Bonetti insegnanti, p. Mario Moser prefetto, p. Michelangelo Zanetti padre spirituale, ed io come… convalescente. Rimasero a Sezano con p. Antonio Pressacco i postulanti, in coabitazione con i convittori fino a luglio, quando passarono nella casa del noviziato di Affi.

Oggi la pensione Tinazzi ha preso il nome di "Il Cimbro" e l’edificio è stato elevato di due piani più la mansarda. Proprietaria era una signorina attempata, Ida Porro importata dalla Lombardia, precisamente da Saronno. Aveva come aiutante e vero "manager" un’altra signorina attempata, Margherita Squaranti proveniente dalla contrada Grobbe di Corbiolo. Molto diverse per temperamento: la prima estroversa ed entusiasta di tutto, la seconda riflessiva, precisa, fin meticolosa, una virago. Dopo la guerra sarà pure eletta consigliere comunale e ricoprirà la carica di assessore all’Assistenza. Si integravano vicendevolmente e vivevano con il provento della pensione che affittavano durante i mesi estivi. Tutte e due assai religiose, sempre tra le prime in chiesa e pronte ad aiutare il prossimo.

Dopo i primi momenti di incertezza accolsero con calore la piccola comunità stimmatina. Soprattutto furono emozionate per la possibilità di avere la Messa tutti i giorni nella loro casa, e di conservare l’Eucarestia nella sala trasformata in cappella.

Gli studenti e gli altri confratelli, passati i primi momenti, si trovarono a loro agio e benedissero Dio per la nuova e inusuale sistemazione della comunità religiosa. La gente ci accolse con cordiale simpatia e stima, miste ad un senso di compassione e moltiplicarono le premurose attenzioni per venire incontro alle nostre necessità. Il parroco, d. Angelo Bolla, e i due curati d. Giacomo Fiorato e d. Gaetano Quattrina, ci accolsero con animo aperto, accettando, anzi richiedendo la nostra collaborazione nel ministero pastorale e nella liturgia, e familiarizzarono subito con noi.

Quando il parroco vedeva attorno a sé in presbiterio una quindicina di chierici in talare e cotta, esclamava: "Che cosa mi manca per essere vescovo?".

La popolazione di Boscochiesanuova in quel tempo, per i molti "immigrati" saliti lassù per sfuggire ai bombardamenti, era raddoppiata. Si parlava di circa quattromila abitanti. La chiesa era assai frequentata, e le richieste di ministero, specie per le confessioni, numerose e continue. C’era da fare per tutti.

Io dovevo continuare "l’anno sabatico". C’era pure p. Fausto Longo che stava riprendendosi da una brutta pleurite e p. Mario Moser, con un solo polmone, sempre cagionevole di salute. Facevamo delle belle ma corte passeggiate, respirando l’aria primaverile quando gli altri erano a scuola. Il peso dell’insegnamento era sulle spalle di p. Egidio Airaghi e p. Ignazio Bonetti.

Ci vorrebbe qualcuno dei protagonisti di allora per descrivere il clima di quell’ultimo anno di guerra e i primi mesi della liberazione. Trepidazioni, paure, sacrifici. Gente stanca di guerra e del suo triste seguito: bombardamenti, rastrellamenti di giovani da parte dei tedeschi e fascisti, gesta più o meno illustri da parte di partigiani, notizie contraddittorie tra i bollettini ufficiali dell’esercito italiano e quelle fornite da "Radio Londra", ascoltata in segreto. E tutto ciò con l’esigenza di provvedere alle necessità della vita e all’impegno nello studio. Ricordo alcuni avvenimenti ripescati nella memoria o riportati dal cronista.

Al termine dell’anno scolastico, il 17 luglio "giungono da Affi i neo-professi: sono dieci. Assieme ad essi arrivano p. Luciano Dal Zoppo e p. Alfredo Antolini, destinati a questa casa per l’insegnamento nel liceo. P. Fausto Longo è eletto prefetto dei neo-professi". (Bert. 1946, p. 12). Rallegramenti, festa, gioia. E poi subito a restringersi nei locali del piccolo albergo. Ora gli studenti erano saliti a 25, più gli insegnanti e i superiori. Il parroco d. Bolla venne incontro cedendo per i nuovi arrivati alcuni locali della sua canonica o delle opere parrocchiali.

1. Soggiorno a Tracchi. Le cose sembravano procedere in modo normale in quella situazione anormale, quando il solito cronista (lo stile è quello di p. Antolini) scrive: "Indesiderata visita degli amici tedeschi. Con poche parole fanno capire che per il giorno seguente vogliono a disposizione tanto la pensione Tinazzi come i locali presso la canonica. Nientemeno. Dopo affrettate ricerche otteniamo il permesso di occupare la colonia della GIL (Gioventù Italiana del Littorio) ai Tracchi, 7 km a nord di Boscochiesanuova, a più di 1300 m, località isolata fra le malghe, rifugio del gen. Cantore, "centro di ogni ludo invernale". Faticosi lavori di trasloco. Sia detto una volta per sempre: ammirabile il sacrificio e il mutuo spirito di adattamento in tutti i membri della comunità". (Bert. 1946, p. 12).

Ricordo che i militari tedeschi arrivarono all’albergo accompagnati dall’autorità comunale, parlarono con la proprietaria e affissero sulla porta l’ordine di occupazione dell’edificio e di sgombero, entro 24 ore. Si tentò di parlare, di far presente le nostre necessità. Ma inutilmente. Si ottenne solo di protrarre il tempo del trasloco di altre 24 ore. La sig.na Ida sempre in pianto, la sig.na Margherita, più pratica, dava dei suggerimenti, noi esterrefatti non avevamo tempo di compiangerci, tutti presi dall’ansia del trasloco. I due curati ci furono molto vicini e si prodigarono nel reperire chi, con cavallo e carretto, ci trasportasse le cose: libri, pentole di cucina, arredi di chiesa.

Furono due giorni frenetici: caricare e scaricare, seguire a piedi i diversi carichi. Durante uno di questi viaggi fummo colti da un forte acquazzone all’altezza della contrada Pezzo e ci rifugiammo nella casa del "Luperio" al Còvile. Inzuppati e sciupati i paramenti di chiesa, oltre che noi!

Rimanemmo accampati in quella colonia di Tracchi per un mese: vetri rotti, finestre contorte, carenza di servizi igienici, acqua fornita con autocisterne. Qualche mucca metteva la testa entro la finestre per rallegrare... gli inquilini. Eravamo fuori dal mondo, dai centri di rifornimento e dalla chiesa parrocchiale, quindi difficile prestarsi per il ministero. In compenso era punto di partenza per passeggiate verso Podestaria, monte Tomba, Sparavieri, s. Giorgio. La zona per fortuna era tranquilla: non vi erano partigiani, i quali invece erano numerosi nella zona del Carega.

Trovo notato dal cronista che "Il giorno 11 agosto p. Cappellina tiene le Quarantore a s. Francesco (Velo) e p. Moser Mario un triduo a Valdiporro". (Bert. 1946, p. 12). Ricordo bene quel breve soggiorno per ministero a s. Francesco, dove il parroco d. Angelo Lonardi era obbligato ad assoluto riposo essendo stato colpito per tre volte da polmonite e poteva a stento celebrare la s. Messa.

P. Egidio Airaghi aveva l’impegno di recarsi ogni sabato pomeriggio e domenica a s. Francesco in aiuto a d. Angelo. Durante il periodo estivo da s. Francesco saliva a celebrare la seconda Messa alla malga "Spiazzói". Naturalmente sempre digiuno. Per pranzo gli offrivano una ciotola di latte e poi tornava a casa, con molto appetito ma con tanta soddisfazione.

Continuò questo suo servizio finché rimanemmo a Bosco.

Durante il successivo inverno, una domenica pomeriggio, quando era caduta abbondante neve, volle tornare a casa camminando a fatica sul sentiero che univa s. Francesco a Valdiporro. In fondo al "vaio" venne colto da un turbine di vento e neve che gli toglieva la vista e il respiro. Riuscì a risalire la riva e arrivare alla canonica di Valdiporro, stremato e sfigurato. Il parroco, d. Giuseppe Pasquotto (chiamato da tutti: don Bepo di Valdiporro) lo accolse, lo fece riscaldare e gli diede da bere mezzo bicchiere di grappa, trattenendolo finché fu in grado di riprendere il cammino.

Ma perché rimanere in quella precaria situazione e non ritornare invece a Sezano, sede naturale della Scuola Apostolica? Questa domanda ritornava spesso sulla bocca del direttore p. Emilio Moresco che era primo responsabile della comunità. Ma ciò era impossibile, quindi bisognava ricercare la soluzione a Bosco, implorando e attendendo il momento della Provvidenza.

Questo venne dopo la metà d’agosto. I tedeschi trovarono altra sistemazione e liberarono i locali della parrocchia e in parte anche quelli della pensione.

2. Ritorno a Bosco. Il parroco che aveva sempre tenuto contatti con noi e manifestato il suo rincrescimento per l’improvviso e penoso allontanamento, fu felice di offrire nuovamente la sua canonica e le sale parrocchiali per noi e la sig.na Ida ancora più felice di riavere i "pretini" in casa sua.

Nota il cronista: "Dato che i tedeschi hanno sgomberato i locali presso la canonica di Boscochiesanuova, per vivere più a contatto con la società, rifacciamo il trasloco scendendo di nuovo in paese. Alcuni chierici si mettono per dormire in un locale sovrastante la sacrestia della parrocchia. È chiamato il paradiso, ma di paradiso non ha che il nome". (Bert. 1946, p. 12). Era il locale dove venivano collocate "a riposo" le statue di alcuni santi, appena passata la loro festa. Una specie di soffitta polverosa, illuminata da abbaini e finestrelle che, al posto dei vetri, avevano come protezione carta da parati, – rifugio di pipistrelli e di topi. Si saliva per una scala a pioli sita a lato della porta della sacrestia.

P. Ezio Gonzato, proprio alla vigilia dell’ordinazione, fu uno degli ospiti di quel "paradiso", e lo ricorderà come ineffabile avventura, fino alla morte! Il parroco, visitando l’aereo dormitorio dove riposavano insieme chierici e "santi" – rimanendo però ai piedi della scala – uscì nella storica esclamazione: "La fé da siori. Se no gavessi la me stanza vegnaria dormire con vualtri!"

Non fu possibile durare. Dopo una settimana si dovette trovare altra soluzione. Ma non era finita. "Il 29 agosto, trafelati e stanchi arrivano d’improvviso gli aspiranti di V ginnasio e liceo. Sono sfuggiti (è la parola) da Affi per evitare requisizioni forzate dei tedeschi". (Bert. 1946, p. 13). Non ricordo il numero, ma erano certo una diecina. Nuovo traffico per sistemare i neo arrivati e trovare qualche "buco" che potesse funzionare da aula scolastica.

Le preoccupazioni incalzano. "Il 9 settembre, giorno di pensieri. Si vuole mandare i chierici a Udine. D. Leonoris è incaricato di prendere contatti. Ritorna per miracolo, a causa di pericoli vari. Non se ne fa nulla". (Bert. 1946, p. 13).

P. Francesco Leonoris, recatosi a Udine per incarico del p. Provinciale, dovette costatare che la situazione di pericolo, quanto a bombardamenti, non era migliore di quella di Verona. Così pure per gli approvvigionamenti. Il viaggio poi da Verona a Udine non era per niente sicuro. Egli stesso fu costretto a scegliere strade secondarie e a nascondersi più volte sotto gli alberi della campagna per sfuggire alle incursioni aeree. Oramai gli apparecchi alleati volavano da padroni nei cieli della Padania, senza incontrare resistenza. Dunque non restava che rimanere a Boscochiesanuova.

Ci si accampò in ordine sparso come meglio si poté, per trascorrere quell’ultimo anno scolastico di guerra. Il nucleo principale della Scuola Apostolica era sistemato nella canonica e locali adiacenti. Il locale più ampio delle opere parrocchiali – che era il teatro – fu trasformato in cucina e refettorio. Sì, perché la cucina venne sistemata sul palcoscenico dove le Sorelle della Misericordia preparavano i pasti. Esse avevano dimora nella vicina scuola materna insieme ad alcune consorelle scappate dalla città. Tra queste "sfollate" vi era suor Pia Morandini che sarà poi per molti anni preside del Mondin in via Valverde. Alcune di loro si prestavano per i lavori di cucina e guardaroba. Bastava tirare il "sipario" e dal refettorio si potevano ammirare sul palco le buone suore intente a preparare i pasti.

Le altre stanze della canonica erano occupate dal direttore, p. Emilio Moresco, fratel Carlo Valenti e dagli insegnanti i quali si adattavano a dormire due per stanza. Una sala al piano terra era riservata per gli insegnanti, e là si ritrovavano per studiare, correggere i compiti e attività connesse. Con quale concentrazione, è facile immaginare! Tanto più che si era allietati dai pianti, strilli e salti di due bimbi ospitati con la famiglia in canonica, proprio nell’appartamento sopra la nostra testa. Uno di quei bimbi ora è sacerdote diocesano, don Zeno Modena.

Nelle sale parrocchiali erano sistemate le aule scolastiche e i dormitori per i teologi e i liceisti. Un gruppetto di chierici (otto-dieci) dormiva fuori della canonica, in uno stanzone sito in via Spiazzi, dove ora ha la sede il museo della Lessinia. Vi si recavano di sera e tornavano il mattino per raggiungere la comunità. Lo stanzone veniva chiamato, allusivamente, "il covo". Una classe del ginnasio trovò sistemazione nei locali della pensione Tinazzi. Vi si accedeva dalla parte posteriore della piazza. I rimanenti locali della pensione erano occupati dai tedeschi. Le due signorine Ida e Margherita non furono disturbate e conservarono libero e indipendente il loro appartamento privato.

Quattro di noi avevano "il dormitorio" in una sala ampia, a pianterreno, della "Villa Gemma" in piazza Marconi, verso nord. In quella villa dimoravano pure i proprietari ed anche un gruppetto di militari tedeschi. I quattro "re magi" – come venivamo chiamati – erano i padri: Cappellina, Airaghi, Dalle Vedove e Bonetti Ignazio. Una bella combinazione, come si vede. Dopo cena – quando p. Ignazio era pronto o si lasciava convincere dalle insistenze dei soci – partivamo, tutti infagottati, portando in mano una lanterna per diradare le tenebre dell’imposto oscuramento. Passando davanti all’appartamento delle vergini prudenti Ida e Margherita, che stavano vegliando, davamo loro la buona notte, entravamo nella villetta e poi… dentro nello stanzone, sempre a temperatura ambiente, per riposare.

Eppure si era contenti. Avevamo tanta volontà e tanta speranza nei giovani e ragazzi a noi affidati e nella Provvidenza. Forse vi era pure dell’inesperienza e dell’audacia proprie della nostra giovane età. Padre Alfredo Antolini aveva 31 anni, p. Fausto Longo e p. Egidio Airaghi 29, io e p. Luciano Dal Zoppo 28, p. Nello Dalle Vedove 27, p. Ignazio Bonetti 25. Si cercava di condurre la scuola con regolarità e impegno, anche se il clima della guerra e l’incertezza dell’avvenire non aiutavano né insegnanti né scolari. Talvolta due volonterosi teologi erano incaricati di andare nei boschi a "far legna" allo scopo di poter riscaldare gli ambienti. Cosa santa, come si vede, ma non condivisa dagli insegnanti!

A scuole già iniziate, il 12 ottobre, precisa il cronista "d. Emilio Moresco si frattura la gamba destra, scendendo da Bosco in bicicletta, scontrandosi con una motocicletta". (Bert. 1946, p. 13). Rimase immobilizzato per più di 40 giorni, e quando ricominciava a camminare sentì che la gamba non funzionava, come fosse rattrappita. Un controllo mise in evidenza che le ossa fratturate non erano state ricomposte esattamente. Unica soluzione, per non dover zoppicare per tutta la vita, era quella di rompere nuovamente la gamba e ricongiungere le ossa con maggior perfezione. Detto, fatto. Così p. Emilio Moresco dovette rimanere a riposo coatto per altri 40 giorni, costretto a ridurre i contatti con la comunità e l’esterno. Lo sostituì in quel tempo con molto impegno p. Fausto Longo.

Il giorno 18 dicembre – riferisce il cronista – i tedeschi danno lo sfratto agli studenti e padri ospitati nella pensione Tinazzi, i quali non ebbero altra scelta che di spostarsi in canonica e locali adiacenti. Quindi stringersi ancor più e adattarsi alla meno peggio. "La Scuola Apostolica ha ora raggiunto il massimo delle strettezze e limitazioni. Eppure regna sempre l’allegria e la scuola ha modo di continuare". (Bert. 1946, p. 13).

I tedeschi avevano occupato parecchie case private, ville ed alberghi, nonché le "Colonie Alpine" dove tenevano un corpo di militari, allo scopo di prevenire o reprimere eventuali azioni di partigiani. Le ville per lo più erano adibite a luogo di riposo o di convalescenza per militari provenienti dal fronte. Durante la notte, oltre che l’oscuramento, era attuato il coprifuoco: nessuno poteva girare dopo le 22.00 fino alle 6.00 del mattino, senza particolare autorizzazione. La sorveglianza era rigida.

Di notte poi – senza autorizzazione tedesca! – volava a bassa quota un aereo alleato chiamato "Pippo", che lasciava cadere qualche "ricordo" dove scorgeva una luce. Durante il giorno andavano e venivano automezzi tedeschi sia per trasporti che per controlli. Gli occupanti è vero, non davano eccessivi disturbi ma tenevano tutto sotto osservazione.

Nella caserma "Lessinia" vicino alla chiesetta di s. Margherita, all’inizio del paese, "bivaccavano" un centinaio circa di giovani fascisti; ragazzi sui 18-20 anni i quali davano una mano ai tedeschi nei rastrellamenti sulle montagne e compivano altre "lodevoli" imprese. Volontari per ideale o per avventura oppure perché forzati, essi passavano per il paese cantando e chiassando, malvisti, o meglio compatiti dalla gente per la loro inesperienza e vacuità. Si dedicavano a dei passatempi molto simili a quelli della guarnigione spagnola di stanza a Lecco, di manzoniana memoria. Inoltre salivano spesso "inquadrati" in piazza Marconi, divenuta il loro "campo marzio", dove si esibivano in esercitazioni ginniche, in marce e urlavano slogan contro antifascisti e partigiani.

Avevano anche preso a scrivere, sui muri delle case, frasi poco encomiabili. Una volta apparve pure la figura del parroco, col cappello da prete in testa e la scritta: "La tua pelle per tamburo". Il curato d. Gaetano Quattrina, intorno a quel tempo, mentre passava in birroccio sotto la caserma, venne fatto oggetto di motteggi da parte di alcuni di loro. Si fermò, entrò in caserma e si presentò decisamente al capitano, protestando sia per le frasi ineducate dette nei suoi riguardi, come per la scritta apparsa sul muro contro il parroco. Fu ascoltato – sempre secondo il suo racconto – ed ebbe assicurazione che non si sarebbero

più ripetuti simili gesti che avevano suscitato reazioni negative nella gente.

Il parroco, che non aveva "un cuor di leone", rimase molto impressionato. Parlò con il nostro superiore e lo convinse di ordinare ai chierici di non transitare in gruppo per l’abitato del paese, di far ricreazione nello spazio antistante la canonica e di passeggiare solo sulla strada che dalla chiesa scende verso il cimitero. Questo per evitare la vista della gente e il controllo dei tedeschi i quali, almeno secondo la sua affermazione, avrebbero potuto requisirli e spedirli in Germania!

I nostri studenti, pur obbedendo, la pensavano diversamente. Avevano anzi fatto conoscenza con un militare tedesco della Baviera, studente di teologia anch’egli, religioso benedettino della Congregazione di santa Otilia. Con lui si comunicava discretamente: un po’ col latino, un po’ col tedesco che Cassini Primo, Crescini Angelo, Longo Fausto ed io riuscivamo a "masticare". Quel militare veniva qualche volta pure a trovarci e per Natale il coro dei chierici cantò per lui, e insieme a lui, la pastorale "Stille Nacht" nella lingua originale. Ricordo la sua commozione e la sua riconoscenza per quell’atto di delicatezza verso la sua persona, e per il significato di fraternità e di pace nonché di comunione ecclesiale che in quel momento assumeva. Non molto dopo egli dovette partire e assicurò che si sarebbe fatto vivo, finita la guerra. Non se ne seppe più nulla.

Abitando contigui alla chiesa parrocchiale potevamo essere quasi sempre presenti alle funzioni liturgiche e disponibili nel servizio pastorale, specie per le confessioni. Gli studenti erano inseriti nella corale che contava un numero considerevole di cantori, e poteva vantare tra le voci di "basso" il papà e lo zio di colui che diverrà il cantante lirico Ivo Vinco. Le Messe "Prima pontificalis" e "Secunda pontificalis" del Perosi, nonché "La pastorella" erano i pezzi forti del coro parrocchiale nelle solennità.

I chierici rendevano più solenni le feste. Rimase famosa la Novena Liturgica e la festa di Natale di quell’ultimo anno di guerra. Il cerimoniere, chierico Mario Chiandussi, con calma e maestria, fece occupare il presbiterio da un gruppo di chierichetti, poi da una ventina di chierici e sacerdoti. Il "Polisalmo", gli inni, le preghiere, il Magnificat cantati con arte e devozione davanti al Santissimo esposto in mezzo a una selva di candele e luci. I fedeli che gremivano la chiesa e noi tutti chiedevamo insieme la fine della guerra al Re della pace che stava per venire.

I padri si prestavano per il ministero pure presso altre parrocchie. P. Dalle Vedove si recava ogni giorno, a piedi, fino alla contrada delle Scandole per celebrare la s. Messa alle suore e ai ragazzi dell’Istituto Civico di Verona e della Colonia Agricola di Marzana che si erano rifugiati lassù per scampare al pericolo dei bombardamenti. Un mattino, s’imbatté in uno strato di neve che gli arrivava alle ginocchia. P. Ignazio Bonetti aveva in consegna il paese di Corbiolo, non ancora elevato a parrocchia, e p. Airaghi (come già notato) saliva il sabato e la domenica a s. Francesco di Velo.

La gente, per la nostra disponibilità e il nostro servizio, ci voleva bene e lo dimostrava venendoci incontro secondo le sue possibilità.

Ricordo un fatto. All’approssimarsi dell’inverno alcune buone persone pensarono di confezionare per noi degli indumenti di lana. Due signore andarono alla questua presso le malghe o le contrade raccogliendo un notevole quantitativo di lana di pecora. Un’anziana signora, Maria Scandola che si gloriava d’essere nipote o pronipote di suor Iosepha Scandola – scelta dal beato Comboni come prima colonna della Pie Madri della Nigrizia – lavò tutta quella lana sbattendola nell’acqua, senza additivi. Poi la passò ad altre signore che la filarono. In seguito altre ancora – a mano o a macchina – confezionarono maglie, maglioni e copricapo che scendevano sulle orecchie abbottonandosi sotto il mento. Questo per tutti, padri e studenti. Tra le più attive animatrici di tutto quel traffico furono le signorine della pensione Tinazzi, Ida e Margherita.

Il parroco ci mostrava tanta cordialità e familiarità, a motivo della comune abitazione, del servizio che offrivamo e della compagnia. Passava volentieri la ricreazione pomeridiana con i chierici. Aveva la voce nasale, la battuta facile, la conversazione piacevole. Grazie alla sua generosa e aperta accoglienza trascorremmo sereni e incolumi gli ultimi mesi della guerra. In seguito avemmo la possibilità di dimostragli la nostra riconoscenza quando, ritiratosi in città e rettore di s. Maria Antica, lo ospitammo a Sezano per due mesi di convalescenza, dopo un grave intervento chirurgico.

Per il cibo possiamo dire di non aver sofferto veramente la fame. I generi alimentari che si acquistavano con la tessera erano generalmente reperibili. Si aggiungevano degli aiuti provenienti dalla generosità della gente e da qualche altra via… collaterale. Il fratello Carlo Valenti, dinamico romagnolo, era indaffarato per provvedere a tutta quella comunità formata da giovani d’ottimo appetito. Un po’ piangendo, un po’offrendo sigarette, (assegnate a noi per tessera ma non fumate), un po’ trafficando, otteneva quanto era necessario alla comunità. Invece molte persone della zona e d’altre regioni d’Italia soffrivano l’indigenza ed anche la fame.

3. Fine di un incubo. Intanto si avvicinava la fine della guerra. Con l’aprirsi della bella stagione ripresero le ostilità su tutti i fronti. I tedeschi opponevano una tenace resistenza, anche se inutile. In paese tutto era calmo ma il fuoco bruciava sotto la cenere. Sopra la città volavano indisturbati gli aerei alleati e colpivano indiscriminatamente obbiettivi militari e civili. La sede della nostra Scuola Apostolica in Verona venne colpita per tre volte, quasi totalmente distrutta e resa inabitabile. Oltre il dolore per la perdita, ci si poneva fin d’allora l’interrogativo: come e che cosa fare dopo la conclusione della guerra.

Altra ferita dolorosa il 6 aprile quando la casa Stimate fu colpita e gravemente danneggiata dalle bombe. Il cronista delle Stimate descrive così il doloroso evento: "Passarono i mesi, quando il 6 aprile si ebbe finalmente l’ultimo... spettacolo. Alcune squadriglie si diressero dapprima su Parona. Una di esse, staccatasi dalla formazione, deviò verso la città. Si videro d’improvviso i rossi bagliori dell’atmosfera incendiata, poi il solito nuvolo di fumo e polvere. In quell’istante le Stimate crollarono. Fu quello l’ultimo bombardamento e l’ultima incursione sulla città… Del collegio restava miracolosamente in piedi la facciata, distrutte le stanze e la cappella del p. Fondatore, parte del vecchio convento sconquassata, il teatro e la chiesa di Lourdes colpite in pieno, le aule di chimica, di fisica e dei professori, e i nuovissimi locali del collegio un cumulo di rovine. Dai muri rimasti in piedi pendevano balconi scardinati, cornicioni e grondaie. Altre bombe erano cadute sui tre cortili e perfino sull’imboccatura del rifugio, ed una era penetrata dalla cupola della chiesa delle Stimate sprofondando inesplosa sul pavimento presso la balaustrata. Si cercò di ricuperare subito il vestiario del teatro e i libri della biblioteca dei professori. Il lavoro dei padri e fratelli fu davvero ammirabile. In poche ore gli oggetti più preziosi erano al sicuro". (Bert. 1946, pg. 10 e 11).

Alcuni chierici più robusti e coraggiosi scesero per aiutare i confratelli delle Stimate a ricuperare materiale e libri ricoperti dalle macerie.

La fine delle ostilità a Boscochiesanuova avvenne senza incidenti. I pochi partigiani si erano eclissati negli ultimi giorni e tornarono, appena partiti i tedeschi, con qualche vecchio fucile in spalla e con la barba incolta, per far credere a sé stessi e agli altri di essere stati i liberatori d’Italia.

Le truppe del Terzo Reich risalivano in disordine, cupe e umiliate, verso il Brennero. Folti gruppi di soldati passavano quasi in continuità dalla Valpantena e da Bosco per ridiscendere poi ad Ala. Questo per evitare il transito sulle strade della Valdadige continuamente sorvolata dagli aerei alleati, pronti a mitragliare e colpire senza pietà uomini e mezzi in ritirata.

Uno di quei giorni p. Egidio Airaghi ed io scendemmo a piedi fino a Lugo dove quegli aerei avevano fatto cadere alcune bombe, causando feriti e qualche morto tra la popolazione. Potemmo vedere i danni, (non gravi, per fortuna), provocati dalle esplosioni, parlammo con le persone ancora sotto shock portando il conforto cristiano. Poi ci mettemmo a parlare con alcuni soldati tedeschi mogi e spauriti come agnellini. Uno di loro, austriaco, ci mostrava le foto dei cinque figli che aveva lasciato a casa con la moglie. Da molto tempo non sapeva più nulla dei suoi cari, ed era preoccupato per i bombardamenti a tappeto che gli alleati effettuavano su tutto il territorio germanico. Ripeteva tristemente: "Alles Kaputt, alles Kaputt!" (Tutto giù, in Germania). Ritornammo mesti pure noi verso casa, per il sentiero in fondo al vaio.

A Bosco l’unico fatto meritevole d’attenzione fu il mitragliamento di alcuni autocarri tedeschi sulla strada provinciale da Dosso Gervasio alla caserma, e lo sgancio di qualche bomba nella medesima località. Gli scoppi furono sentiti anche in canonica e fecero sobbalzare il parroco, sbiancato e tramortito.

Vicino alla canonica, dov’eravamo ospitati, passò in quegli ultimi giorni un militare tedesco di 17 anni, che aveva perso i contatti con il suo gruppo e se ne andava tutto solo per sentieri nascosti verso Erbezzo per poi scendere ad Ala. Demmo a lui qualche cosa da mangiare. Il chierico Cassini Primo gli rivolse alcune domande. Tra l’altro gli chiese se era protestante o cattolico. Rispose diritto: "Heide", cioè pagàno. Era un ragazzo delle "SS" (Schulz Staffeln), giovani hitleriani esaltati. Gli indicammo la strada più corta, assicurando che non avrebbe incontrato partigiani. Quale fine avrà fatto?

Il giorno 22 aprile ci fu l’ordinazione sacerdotale del diacono Ezio Gonzato, e di alcuni chierici agli Ordini minori, tenuta da mons. Girolamo Cardinale nella cappella del Seminario a Roveré. Partimmo il mattino presto, con i paramenti in valigia, a piedi, per un sentiero che scende nel vaio e risale fino a Roveré. Cerimonia austera, suggestiva, ma anche carica di tensione. Non erano momenti propizi per esternare con feste la grazia interiore del sacerdozio! Insieme a lui veniva ordinato d. Giuseppe Tosi che in seguito farà parte della Pia Società di d. Nicola Mazza.

I tedeschi che erano di stanza a Bosco lasciarono il paese la notte del 26 aprile. Noi "quatro re magi" stavamo dormendo "con un occhio solo" nello stanzone di Villa Gemma. Sentivamo rumore di passi dei militari tedeschi che andavano e venivano dalle stanze da loro occupate. Dalla piazza adiacente arrivava un frastuono e un brusio come di legna che brucia, e voci smorzate come di chi impartisce ordini. Ci guardammo bene dall’aprire l’uscio o le finestre! Il mattino quando uscimmo vedemmo, al centro della piazza, un fuoco non del tutto spento, acceso dai tedeschi per bruciare i registri e altro materiale compromettente che non avevano potuto portare con sé. Ma loro, non c’erano più!

Nella tarda mattinata del 27 arrivò da Verona una jeep con a bordo alcuni partigiani i quali sventolavano a festa il tricolore. La piazza si riempì in un batter d’occhio di gente e le voci e le urla arrivarono al cielo. Finiva l’incubo durato cinque anni. Il giorno seguente 28, tre jeep con soldati alleati americani si presentarono in piazza, salutati e festeggiati come liberatori dalla folla entusiasta e commossa.

4. Sistemazione provvisoria della Scuola Apostolica

Il 29 visita lampo del superiore generale p. Giovanni Battista Zaupa condotto in macchina da un signore ebreo, nascosto e salvato nella casa di s. Agata durante l’occupazione nazista di Roma. Si rese conto di com’eravamo sistemati, ci portò notizie dei confratelli del Sud e di quelli oltre oceano, c’incoraggiò, e niente più.

Intanto l’anno scolastico che volgeva alla fine, terminò con più serenità. Naturalmente la preoccupazione maggiore di noi e dei superiori in quei momenti era quella della sistemazione della Scuola Apostolica, ora che era finita l’emergenza della guerra. Il direttore p. Moresco ebbe frequenti contatti con il Provinciale e con qualche consigliere. Furono vagliate alcune possibilità e alla fine venne concluso che la soluzione dovevamo trovarla noi a Boscochiesanuova, perché non era possibile, per allora, ritornare a Sezano.

Ci mettemmo subito a fare delle ricerche, si parlò con il parroco ed altre persone e ci indicarono una sede che pareva adatta per noi e i cui proprietari erano disponibili a concederla in uso: era la villa Armellini. In antecedenza veniva chiamata "Hotel du Parc" e, alla sua nascita, "Villa Ponti", dal signore che l’aveva costruita. La villa con ampio parco apparteneva ad una società amministrata dalla famiglia Armellini,

famiglia proprietaria pure della "Società Autovalpantena" che gestiva alcune linee d’autocorriere della provincia di Verona.

La villa – quella che oggi è nostra proprietà – era stata requisita dai tedeschi e usata come sede di un comando militare e come luogo di riposo per i soldati reduci dal fronte. Partiti loro, venne occupata dal Comando Alleato che vi stabilì un contingente di militari cecoslovacchi e polacchi. Essi vi rimasero per un paio di mesi poi se n’andarono e la villa venne restituita ai proprietari. Il verbale del Consiglio provinciale (vol. I, p. 119) precisa che la proposta di chiedere la villa Armellini per la Scuola Apostolica venne trattata nella seduta del 23 giugno 1945.

Prima cosa fu quella di pulire i locali. Una squadra o più squadre di chierici e loro insegnanti si impegnarono per togliere lo sporco dai pavimenti di parquet e tutti "i resti" lasciati dagli inquilini, nel parco. Secchi d’acqua attinta dalle cisterne volavano nei corridoi e lungo le scale. Venne fatta qualche rudimentale disinfezione dei mobili, sedie, tavoli, ecc. Insomma si cercò di rendere la sede abitabile per una comunità di chierici ed aspiranti.

L’operazione "pulizia" durò una quindicina di giorni. Meno male che eravamo in estate, nella prima metà d’agosto! Dopo la festa dell’Assunta s’iniziò a compiere l’ennesimo trasloco delle nostre cose, ma questa volta con più calma e non in 48 ore come l’anno precedente. Così annota il nostro cronista: "Resta deciso che la Scuola Apostolica occuperà la «Villa Armellini» che si trova a circa 10 minuti di strada sopra il paese. Dopo essere stata requisita in precedenza da fascisti, tedeschi e cecoslovacchi, ora tocca a noi. Previa disinfezione e pulizia dei locali, il 21 agosto 1945 vi entriamo. Si respira un po’ meglio". (Bert. 1946, p. 14).

Sembrava una soluzione transitoria accettabile. Contenti noi per aver finalmente un soggiorno normale, contento il parroco che ricuperava la libertà e disponibilità dei suoi locali, e nel contempo aveva ancora vicini gli stimmatini per l’aiuto pastorale, contenta anche la gente che non perdeva quei preti ai quali si era affezionata.

Questa sistemazione durò poco. Sentiamo il cronista: "Ma tutto non è finito. Una settimana dopo ci viene comunicato che dovevamo spiantare le tende della nuova sede per portarci lontano, questa volta in quel di Lecco. La nuovissima sede sarà la Brianza, Galbiate in provincia di Como, diocesi di Milano, con la vista del Resegone… Detto, fatto: a più scaglioni i chierici e le masserizie, su autocarri, giungono tutti a destinazione per il 13 settembre 1945". (Bert. 1946, p. 14).

Momenti d’amarezza per una decisione così inattesa e problematica! Fosse almeno venuta prima: avremmo evitato una quindicina di giorni per pulizie e la fatica del trasloco! Portare lontano la Scuola Apostolica dal suo humus naturale, dal quale provenivano le vocazioni e questo con la possibilità di rimanervi per un decennio, secondo il tempo previsto nel contratto di cessione dell’immobile! Ci si consolava con la notizia, sottolineata dal direttore p. Moresco, che nella nuova terra da un balcone naturale avremmo potuto godere lo spettacolo di cinque laghi!

I chierici e gli studenti presero con filosofia il cambiamento e non si mostrarono contrari alla prospettiva di incontrare nuove avventure, dopo averne passate tante. Questo da un lato umano e storico; la fede aggiunge altre certezze, a noi sconosciute!

Concludo riportando il brano del cronista che esprime i sentimenti di tutti nel lasciare la sede di Bosco dopo un anno e mezzo d’avventuroso e affascinante soggiorno. "Prima di seguire i fatti che incalzano, è semplicemente un dovere indicare alla riconoscenza profonda dell’Istituto gli indimenticabili benefattori di Boscochiesanuova dai quali ora ci siamo allontanati. Anzitutto il rev.do Arciprete, la sig.na Ida Porro proprietaria della pensione Tinazzi, tanti altri umili benefattori che in momenti per noi criticissimi ci commossero con l’offerta di legna, lana, viveri e aiuti di ogni genere. Non dimenticheremo il buon paese di Boscochiesanuova". (Bert. 1946, p. 14).

 

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