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CAPITOLO 3

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Scuola Apostolica Bertoni. Uno spaccato di vita durante e dopo la guerra.

Capitolo 3

III - Intermezzo in Brianza

 

Finita la guerra, la sistemazione della Scuola Apostolica era la vexata quæstio che tormentava i superiori. C’era l’esigenza – oltre che il desiderio – di tornare alla normalità. Noi addetti alla formazione, in primis il direttore p. Moresco, insistevamo perché i seminaristi ritornassero a Sezano da dove erano partiti, attendendo il momento della ricostruzione della sede in città. I confratelli delle Stimate invece avevano assoluta necessità d’ambienti adatti per continuare l’opera della scuola e del convitto essendo il complesso di via Montanari semidistrutto. Trovare nelle vicinanze ambienti idonei a questo scopo era cosa ardua, quasi impossibile. La sede di Sezano rappresentava per loro una soluzione accettabile, almeno provvisoriamente. Nello stesso Consiglio provinciale i pareri non erano concordi.

Si presentò in quei momenti un’occasione che sembrò provvidenziale per dare una sede adatta alla Scuola Apostolica e permettere alla comunità delle Stimate di conservare l’uso della casa di Sezano. Questa proposta venne accolta dal Consiglio provinciale non senza sofferenza. Ne è segno il verbale del Consiglio. (vol. I, p. 122). La grafia è quella del segretario provinciale p. Goffredo Friedmann, ma la stesura è di p. Giovanni Cervini il quale, con il suo stile inconfondibile, condensò in poche frasi i motivi che avevano portato alla decisione: e ciò per memoria dei posteri! Egli userà questo metodo anche da Provinciale per le decisioni importanti e sofferte che potevano creare stupore o incomprensione.

"Viene offerta a più che buone condizioni, dall’Istituto Figlie del Sacro Cuore di Bergamo, in affitto per una decina di anni, la loro casa a Galbiate presso Lecco.

Dato che la SS. Trinità e le Stimate sono distrutte, dato che Affi attualmente è appena sufficiente per il noviziato e per pochi aspiranti, dato che la villa Armellini di Bosco ci è stata concessa per un anno lasciando così insoluto il problema dell’alloggio della Scuola Apostolica per gli anni avvenire, dato che il collegio per le Stimate è vitale, in quanto è quasi l’unico finanziamento del numeroso personale della Casa Stimate, perché le scuole sono passive, e d’altra parte non è possibile trovare in città o nelle immediate adiacenze alcuno stabile per lo stesso, dato anche, e soprattutto, che la casa di Galbiate (visitata dal rev.mo Superiore Provinciale, da p. Furlanis e p. Berlanda Carlo) offre un ambiente consentaneo all’educazione e alla salute degli studenti nostri (perché è isolato sebbene nel cuore del paese, cintato, discretamente ampio, con discreta comodità di ambienti per gli studenti, per i padri e per le suore) e risolve per alcuni anni un problema assillante; pur tenendo presente le spese di trasporto e il fatto che momentaneamente nel predetto luogo i generi sono più costosi, tutto considerato, ad unanimità si decide di accettare l’offerta e di trasferire, nel più breve tempo possibile, la scuola Apostolica".

Le Suore del s. Cuore sono quelle che dirigono l’Istituto Seghetti in piazza Cittadella. Da sempre i padri delle Stimate prestavano l’assistenza religiosa come cappellani alle suore "Seghetti" ed avevano con esse contatti scolastici a motivo del comune impegno di gestire una scuola cattolica.

Il vasto fabbricato che esse possedevano a Galbiate aveva ospitato, negli ultimi tempi della guerra, il Collegio San Carlo di Milano che al presente aveva fatto ritorno alla propria sede. Le suore quindi, al corrente della situazione della Scuola Apostolica e delle affannose ricerche per una sua sistemazione, offrirono agli Stimmatini quella loro sede di Galbiate. Dopo il sopralluogo compiuto dalla Curia Provinciale, che ne riportò impressione positiva, venne deciso di trasferire la Scuola Apostolica a Galbiate.

Naturalmente la notizia dell’imminente partenza degli Stimmatini da Bosco verso un luogo così remoto destò stupore ed anche amarezza tra la popolazione e nei sacerdoti della parrocchia. Ma non poterono fare altro che manifestare il proprio disappunto ed auspicare un sereno e fruttuoso soggiorno in quella terra.

Il trasloco si effettuò in un paio di settimane. Caricammo (eravamo oramai degli esperti!) le masserizie su autocarri, e a diversi scaglioni raggiungemmo la nuova destinazione. Sui camion, oltre le cose, viaggiavano pure quattro o cinque "inquilini". Tutto normale, per quel tempo! Era bello ammirare da lassù le località, il paesaggio, le città di Brescia e di Bergamo e risalire verso "quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno"!

Il "sanmartino" si concluse entro il 13 settembre. Annota il cronista: "Il giorno 18 arrivano anche gli aspiranti di Sezano. Sono una quindicina. La Scuola Apostolica si riunisce al completo per rivivere così separata e indipendente le sue costumanze tradizionali". (Bert. 1946, p. 14). La casa ospitava gli studenti di teologia, i professi di liceo e gli aspiranti. Non una schiera numerosa: "il resto" del periodo bellico.

Potevamo ora fare un bilancio: grazie a Dio, nessuna vittima, a causa della guerra, tra i confratelli e studenti della Scuola Apostolica. Potevamo anche avanzare delle speranze per il futuro della Provincia appena nata: tra qualche mese l’ordinazione di sei nuovi sacerdoti.

La casa, messa a nostra disposizione dalle Suore del S. Cuore, era un ex convento, abbastanza ampio e adatto per la nostra comunità. Aule, stanze, cappella, refettorio, cortile, boschetto ed orto, il tutto recintato. A due passi dalla chiesa parrocchiale, in un paese tranquillo, ubicato sul crinale di un colle tra Val Madrera e il lago di Como. Alle spalle il monte Barro che si alza fino a mille metri, da cui si possono ammirare i famosi "cinque laghi". Più lontana svetta la Grigna, mentre a nord-est, nella valle attorno al lago e sulle pendici dei colli, si distende Lecco, il famoso "borgo" diventato oramai città e capoluogo di provincia. Ma il più atteso ed ammirato era il Resegone, con le sue cime disegnate a sega, che spicca, spoglio e solenne, oltre lago.

Uno dei primi desideri espressi dal gruppo dei chierici fu quello di effettuare un’escursione al monte Resegone. Vennero accontentati. Prima dell’inizio dell’anno scolastico partimmo un mattino presto, scendemmo a Lecco, attraversammo il ponte e salimmo svelti, pieni d’ingenuo entusiasmo verso il monte sognato. Non fu difficile la salita per quella squadriglia di giovani chierici abituati a scorazzare per le alture della Lessinia.

Notammo subito una differenza: qui, quasi niente erba, solo sassi, piccoli ed appuntiti e il sentiero che sale ripido attraverso i costoni. Giungemmo alla cima dove una croce, voluta dal Card. Tosi, si stacca da un basamento di cemento e s’innalza verso il cielo. Quale meravigliosa visione da lassù, verso le Alpi e la pianura! E sotto, il lago che si restringe e versa parte della sua acqua nell’emissario, l’Adda.

Rimanemmo lassù fino a pomeriggio avanzato. L’ambiente così diverso dal consueto, l’aria frizzante, il cielo di Lombardia, "che è così bello quando è bello", fecero esplodere l’euforia di quel gruppo di chierici. Luigi Miori, con la sua fervida fantasia, improvvisò una specie di balletto attorno alla croce canterellando una spontanea composizione:

O Zenone porgi ascolto

al pio cantico figliale

ci sorrida il bruno volto

come un dì dal cielo ancor.

 

Nel subcosciente (ma non troppo!) dei chierici, catturati ormai dal fascino del nuovo ambiente, era come un saluto di commiato a s. Zeno e alla sua terra.

Appena iniziata la via del ritorno uno del gruppo, il chierico Crescini Angelo, mentre scendeva per l’irto sentiero, improvvisamente sentì che la gamba destra non lo reggeva più, cadde, scivolò sbattendo le spalle contro terra, rotolò una diecina di metri arrestandosi su un sentiero. Stava forzando con la mano e il braccio per rimettersi in piedi, non rendendoci conto che sotto di lui lo scoscendimento continuava almeno per cinquanta metri. Grida e implorazione di aiuto da parte dei più vicini e momenti di forte tensione per tutti.

Senza riflettere, spinto dall’istinto, mi lanciai su quel terreno franoso e appuntito e riuscii ad impedire che Crescini rotolasse nuovamente. Provammo a rialzarlo e lentamente si riprese. Nessuna rottura per fortuna, solo alcune escoriazioni alla faccia e alle braccia. Poté camminare con fatica fino a Lecco. Non avevamo con noi alcun disinfettante, e per ripulire faccia e braccia usammo della grappa, portata con noi per ben altro uso!

Intanto in comunità avvenivano dei mutamenti. Nota il cronista: "P. Ignazio Bonetti e p. Nello Dalle Vedove passano a Roma per completare il corso degli studi e ottenere la laurea, p. Egidio Airaghi pure a Roma per prepararsi a partire per la Cina. Vengono a Galbiate p. Dusi Luigi, p. Giuseppe Falzi come insegnanti, p. Francesco Pisetta padre spirituale, p. Benin Luigi economo e fratel Flaborea, infermiere". (Bert. 1956, p. 15).

Ai primi di novembre inizia l’anno scolastico e tutto procede normalmente, senza i sussulti e gli imprevisti del periodo bellico.

Il 1° novembre, nota il cronista: "Arriva qui il Rev.mo Superiore Generale (p. Zaupa) accompagnato da p. Martinis, consigliere generale. Poterono costatare che tutto era ritornato alla normalità e la Scuola Apostolica viveva secondo le norme e lo spirito di una casa di formazione". (Bert. 1946, p. 15). Di tratto in tratto avevamo la visita di qualche confratello della comunità di Milano o di qualche altro che passava da Milano e aveva il coraggio di avventurarsi fino a Galbiate con i mezzi di trasporto precari e disagiati di quei primi tempi del dopo guerra.

I padri si prestavano per il ministero delle confessioni e della predicazione nella chiesa parrocchiale ed in altre località vicine. Venne a stabilirsi piano piano una corrente di simpatia e di stima con il clero del luogo, anche se non come a Bosco. I chierici di teologia erano chiamati in diverse parrocchie per la catechesi e l’assistenza ai ragazzi nei giorni festivi, mentre l’aiuto alle cerimonie liturgiche e al canto era solo saltuario, a motivo della diversità del rito che era l’Ambrosiano.

La gente cominciò a conoscerci, a stimarci e a volerci bene, anche se diverso era il carattere e la "lingua". Insomma si era contenti e ci si trovava bene, senza rimpianti, almeno dalla maggioranza degli "esuli".

Ricordo quant’era atteso e gustato il passeggio quotidiano dopo il pranzo! Si camminava per una strada secondaria, quasi tutta in piano fino ad un belvedere sul lago e poi serenamente si ritornava. Il cielo era quasi sempre limpido e il clima tiepido in quei giorni d’autunno e d’incipiente inverno, mentre sulla pianura regnava la foschia e la nebbia!

Certo non mancavano lati negativi o carenze: lontananza dalle altre comunità stimmatine e dal cuore della Provincia, difficoltà di trasporto e di comunicazioni, privi di telefono. Ma ciò era sentito più dai superiori e provveditori che dagli studenti i quali assaporavano la novità dell’ambiente e godevano della ritrovata pace.

Il cronista annota un lieto avvenimento per gli studenti di teologia: "Il 12 dicembre, a Milano per mano di sua Em. il Card. Schuster vengono ordinati suddiaconi sei dei nostri chierici, altri cinque ricevono la tonsura". (Bert. 1946, p. 15).

Giornata luminosa sulla strada della travagliata preparazione al sacerdozio! Profonda impressione fece la figura ascetica e ieratica del card. Schuster, oggi Beato! I chierici ricorderanno a lungo quelle date e quel clima. Anche perché subito dopo ebbe inizio una nuova avventura.

 

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