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Scuola Apostolica Bertoni. Uno spaccato di vita durante e dopo la guerra.

Capitolo 1

I. Alcuni preliminari forse non inutili

 

1. Oggi 10 novembre 1997, a Sezano, inizio a scrivere alcuni ricordi di cronaca e di storia della Scuola Apostolica negli anni 1940-1950. Mi servo di qualche annotazione rintracciata su "Il Bertoniano" per quanto riguarda soprattutto il tempo dei fatti avvenuti e rispolvero tutto il resto nova et vetera dal deposito della memoria che ancora mi rimane.

Quei 10 anni sono stati un periodo del tutto eccezionale, carico di avvenimenti che di solito non rientrano nella vita di una comunità religiosa. Avvenimenti che sono stati causati da una guerra che ha sconvolto nazioni, popoli, famiglie e comunità oltre ogni previsione. E hanno lasciato in tutti noi, studenti ed educatori, un’impressione e un ricordo indelebili.

Il giorno 9 giugno 1940 ricevetti l’ordinazione sacerdotale, insieme a p. Egidio Airaghi, nella chiesa del s. Cuore di via Marsala in Roma. Lo ricorda la cronaca della comunità di s. Agata: "9 giugno: sono ordinati sacerdoti i diaconi p. Airaghi e p. Cappellina. Auguri di fecondo apostolato". (Bert. 1940, p. 73). Siamo stati fortunati per questa menzione sul periodico dell’Istituto. All’ordinazione di p. Nello Dalle Vedove avvenuta pure a Roma l’anno dopo (13 luglio 1941), nessun confratello fu presente all’ordinazione, tranne il sottoscritto, e venne completamente dimenticata dal cronista. Che differenza dalle ordinazioni di oggi!

Ma allora c’era "l’autarchia" di marca fascista e l’austerità che accompagnava la guerra. Difatti il giorno dopo l’ordinazione, 10 giugno 1940, il Duce, dal balcone di palazzo Venezia, annunciava la guerra contro la Gran Bretagna e la Francia, le cosiddette "plutocrazie". In piazza tuttavia non vi era la solita folla oceanica nonostante gli inviti e le pressioni delle autorità, e la gente sfollava mogia mogia, senza ripetere slogan o urlare canti patriottici, come avveniva altre volte.

Durante la notte, la prima notte di totale oscuramento, il suono delle sirene svegliò la città e poco dopo alcuni aerei francesi, partiti dalla Corsica, sorvolarono l’Urbe lasciando cadere, per fortuna, soltanto dei volantini. La dura realtà della guerra si faceva sentire fin dalle prime ore.

Durante l’estate p. Airaghi ed io, dopo aver celebrato la prima Messa nelle rispettive parrocchie, passammo le vacanze scolastiche a Sezano con gli altri studenti della Scuola Apostolica. Direttore era p. Pietro Campi.

Si verificava quell’estate una situazione nuova per Sezano: sarebbe stata residenza permanente della Scuola Apostolica per oltre un decennio. Prima d’allora la casa aveva ospitato gli studenti soltanto durante il periodo delle vacanze estive. La sede infatti della Scuola Apostolica era a Verona, in un complesso di edifici che sorgeva accanto, anzi a ridosso della chiesa della ss. Trinità. Fin dall’inizio della guerra le autorità militari requisirono gran parte degli edifici per adibirli a ospedale militare. Venne concesso a nostro uso il terreno con orto e cortili, il fabbricato che ospitava le scuole medie degli aspiranti ed alcuni locali rustici, staccati dal complesso principale, che guardavano verso la via del Lanciere. Da questa via, attraverso una porta ed un portone ricavati nel muro di cinta, si poteva accedere ai cortili e ai locali non requisiti, senza interferire con i nuovi occupanti.

L’ospedale militare, lontano dai luoghi di combattimento, non ebbe mai gran numero di degenti e finì nel nulla. Prestarono servizio, in qualità di cappellani militari, anche due nostri confratelli, p. Giulio Pedot e p. Gino Righetti.

A Sezano, durante l’estate, fu necessario eseguire dei lavori per adattare la casa alle nuove esigenze: ricavare aule scolastiche, stanze, provvedere e sistemare stufe a legna per il riscaldamento, ecc.

P. Airaghi ed io, sebbene già preti, eravamo ancora studenti, perciò al termine della vacanze lasciammo Sezano e facemmo ritorno a Roma per completare il corso di teologia presso l’Angelico.

Le conseguenze dello stato di guerra non si avvertivano ancora pienamente. Vi era la tessera per il pane ed alcuni generi alimentari, vi era il contingentamento per altri, ma chi aveva mezzi poteva in qualche maniera procurarsi il necessario. Non sarà così in seguito.

L’anno scolastico 1940-41 fu denso e impegnativo. Frequentammo il IV corso di teologia e alla fine demmo gli esami di Licenza. Proibizione assoluta di esercitare qualsiasi ministero sacerdotale. Ricordo che io ebbi l’incarico di celebrare la Messa festiva in s. Agata alle ore 12.35 per i dipendenti della Banca d’Italia, i quali lavoravano "per la vittoria!" anche la domenica fino alle ore 12.30. L’omelia era tenuta da p. Cornelio Fabro. La chiesa era stipata. Io, digiuno dalla mezzanotte, passavo la mattinata studiando. Avevo però il privilegio, in quelle prime ristrettezze, di prendere uno zabaione la sera del sabato, prima di coricarmi.

Nell’estate 1941 p. Airaghi ed io – finora compagni indivisibili – risalimmo a Sezano disponendoci a iniziare il nuovo anno scolastico come insegnanti di teologia ai nostri studenti. A me, nientemeno, era stato proposto l’insegnamento della s. Scrittura, in attesa che i predestinati a tenere quel corso completassero gli studi accademici.

A Sezano ricordo una cosa che ha sì e no qualche importanza. Nota il cronista: "Il giorno 24 settembre 1941 la casa è sottosopra per i lavori necessari del pavimento a mattonelle del chiostro e per la cappella: la casa cambia ormai faccia". (Bert. 1941, p. 255). La cappella venne ricavata dividendo con una parete lo stanzone (camerone) al primo piano. Aveva la porta d’entrata dalla loggia. Così veniva a cessare il disagio di recarsi nella chiesa parrocchiale per le pratiche di pietà comuni e il vantaggio e il dono di avere il Santissimo in casa nostra. Il pavimento della loggia (termine proprio, invece di chiostro!) era di mattoni, in parte consunti e polverosi. Fu in quel fervore di opere che p. Airaghi ed io prendemmo l’iniziativa di togliere lo strato di calce che copriva gli affreschi del Brusasorzi (allora non conoscevamo nulla del soggetto e dell’autore dei dipinti). Con acqua, con qualche spatola, con spugna, con le mani e tanto entusiasmo riuscimmo a far emergere i riquadri dei "paesaggi" e il fregio sovrastante. Il lavoro sarà poi completato e "rivisitato" da professionisti nel 1996.

2. Passavamo i giorni nel riposo estivo e in preparazione all’imminente anno scolastico quando impensatamente arriva a me l’ordine di sospendere tutto e di ridiscendere a Roma per conseguire la laurea in teologia. Lascio l’inseparabile compagno p. Airaghi e scendo a Roma con gli altri studenti. Nota il cronista di s. Agata: "Il 2 novembre un po’ in ritardo giungono finalmente i chierici studenti romani, accompagnati da d. Cappellina che rinuncia alla cattedra per ritornare sui banchi della scuola. Ma per aspera ad astra". (Bert. 1941, p. 277).

A Roma p. Fabro, consigliere generale per gli studi, mi disse: "Non possiamo permetterci il lusso di perdere tempo. In un anno finirai gli studi e preparerai la tesi di laurea in teologia".

Cominciai a passare il mio settimo anno di permanenza a Roma come studente. P. Luigi Ciappi, poi Maestro dei sacri palazzi e cardinale, fu il mio relatore il quale mi seguì nella scelta e nella stesura della tesi. In comunità ricordo: p. Giovanni Battista Zaupa, superiore generale, sempre presente e sempre riservato, p. Giuseppe Stofella impegnato a stendere il "Summarium" sul Fondatore, p. Cornelio Fabro che attendeva alla traduzione degli scritti di Kierkegaard, p. Dionigi Martinis, arrivato da poco dal Brasile, superiore della comunità, triste per l’inazione forzata, dopo il superlavoro in quel Paese, p. Giovambattista Tomasi, procuratore generale, p. Giuseppe Fiorio economo e rettore di s. Agata, ed infine, proveniente dagli Stati Uniti, p. Stefano Dalla Via, consigliere "in esilio". Un vero parterre de rois.

La vita di quell’anno fu quella di un normale studente preoccupato di portare a termine gli studi e di stendere il lavoro di laurea. Avevo in più "uno svago": ero stato nominato prefetto dei Fratelli della comunità: fra Angelino Martinelli, fratel Bissoli Santo, fratel Mario Bisinelli, ed un altro fratello, giovane di professione religiosa, di cui non ricordo il nome, che poi si ritirò.

L’anno scolastico passò in fretta. Tenni fede alla consegna ricevuta. I mesi di luglio e agosto li passai nella stesura della tesi e il mese di settembre per dattilografarla. In questo lavoro fui aiutato fraternamente da p. Fausto Longo: io dettavo ed egli batteva a macchina. Era proprio il tempo dell’autarchia, in tutto!

Consegnai le 5 fatidiche copie o esemplari alla segreteria dell’Angelico, passai una settimana in esercizi spirituali alla fine di settembre e poi risalii la Penisola. La difesa della tesi avvenne il giorno 4 novembre, e così terminai la vita di studente.

Nel frattempo era maturato un nuovo e importante avvenimento per l’Istituto: l’erezione delle Province. Il giorno 7 aprile 1942 venne eretta la Provincia S. Cuore per l’Italia. Perciò non dipendevo più, direttamente, dalla Curia Generale ma dai nuovi superiori che erano: p. Vittorio Gardumi provinciale, p. Goffredo Friedmann vicario, e consiglieri p. Giovanni Cervini, p. Francesco Pisetta, p. Alziro Furlanis.

Nelle brevi visite a s. Agata, p. Vittorio Gardumi mi ripeteva il ritornello di p. Cornelio Fabro: "T’aspettiamo a Verona per il prossimo anno scolastico perché qualche altro confratello possa venire a Roma e completare gli studi".

3. La nuova Amministrazione provinciale decise di scomporre la Scuola Apostolica sistemata a Sezano, dove vivevano insieme aspiranti, liceisti e studenti di teologia. Forse in considerazione delle ristrettezze dall’ambiente oppure per il cresciuto numero degli aspiranti o per altri motivi. I teologi – una quindicina in tutto – ridiscesero in città e occuparono i locali non requisiti dall’autorità militare. La cronaca di Sezano al giorno 11 settembre annota: "Avviene la divisione della Scuola Apostolica: i professi studenti scendono a Verona e li accompagna il loro direttore p. Alziro Furlanis con i padri Mario Moser, Modesto Vettori ed Egidio Airaghi. (Bert. 1942, p. 381).

Subito dopo arriva anche p. Cirillo Ambrosi, in qualità d’economo. Alla fine venni a congiungermi e sedermi anch’io "fra cotanto senno".

Scrive la cronaca di s. Agata il 29 settembre: "Presentato ormai il suo lavoro di laurea all’Angelico, con la speranza di ritornare presto a Roma per la difesa, prende la via del Nord p. Cappellina, lasciando nella tristezza i Fratelli che persero in lui un ottimo prefetto". (Bert. 1942, p. 380).

Arrivai a Verona pronto per iniziare la scuola come "insegnante di dogmatica, storia, patristica" secondo la destinazione ufficiale. (Bert. 1942, p. 380). In realtà il pezzo forte e duro era la dogmatica. Ma si era "giovani e forti" e freschi di studi.

A Verona, ss. Trinità, entrai in una comunità ideale sotto ogni aspetto. Unione degli spiriti e propositi nei formatori, corrispondenza e serietà d’impegno da parte degli studenti. Tra padri e chierici armonia e volontà di fare. Una vera famiglia religiosa bertoniana, aiutati forse anche dal piccolo numero di studenti e dall’équipe di formazione perfettamente affiatata.

Ma la comunità ebbe vita breve, solo tre mesi. A interromperla furono i bombardamenti aerei degli Alleati, soprattutto degli inglesi. La guerra che prima si combatteva lontano, in Africa, Russia e nei mari, arrivava in casa nostra per la via dei cieli. Squadriglie d’aerei partivano dalla Gran Bretagna con il loro carico micidiale di bombe che poi scaricavano sulle nostre città. In quei mesi obiettivo degli aerei erano le città di Torino e Milano. Ma l’allarme – segnato dal suono forte e lugubre delle sirene – veniva dato per precauzione anche a Verona. Più volte ci trovammo di notte intabarrati fuori all’aperto, scrutando il cielo e ascoltando i boati delle bombe. Passato l’allarme si tornava a letto, per dormire, possibilmente! Non ci si rifugiava nella cantina perché non lo ritenevamo luogo protetto contro le bombe inglesi, anzi avrebbe potuto essere una trappola mortale.

Intensificandosi le incursioni aeree che lasciavano come conseguenze paura, nervosismo, insonnia, in previsione che anche la città di Verona divenisse presto obiettivo di bombardamenti, i superiori decisero il ritorno degli studenti e dei loro insegnanti a Sezano. Lo nota il cronista di questa comunità: "Il 19 dicembre 1942 giungono i chierici da Verona, accompagnati da p. Moser, loro prefetto e padre spirituale di questa casa, p. Cappellina e p. Airaghi". (Bert. 1942, p. 412). Mentre il cronista della comunità della ss. Trinità, qualche giorno prima, si esprimeva con una punta di amarezza: "11 dicembre 1942, notizia impressionante: i professi scolari devono quanto prima recarsi a Sezano, per riunirsi di nuovo agli aspiranti. Si stava troppo bene e perciò non poteva durare!… (Bert. 1942, p. 411).

Una domanda: i superiori non erano in grado di prevedere questi pericoli e quindi non pensare nemmeno di richiamare un gruppo di chierici in città, dalla quale chi poteva se ne allontanava?

Era il secondo trasloco compiuto dal gruppo dei chierici, e non sarà l’ultimo.

4. Come si stava a Sezano con tante persone? Ci si adattava. E poi, se non vado errato, la prima e la seconda media si erano portate ad Affi, con p. Francesco Pisetta, p. Giovambattista Tolameotti, p. Nello Dalle Vedove (anche lui fresco di studi teologici) e p. Modesto Vettori che non seguì la carovana dei chierici a Sezano.

Il 7 marzo, presieduta dal Provinciale p. Gardumi, cerimonia dell’ammissione al postulato di 7 aspiranti. Io, sempre se non erro di grosso, venni nominato loro prefetto. Così tra la scuola e i momenti formativi per i postulanti, finì l’anno scolastico 1942-43.

Durante l’estate passai 40 giorni in una contrada di Lugo che si chiama Corso. La simpatia per il gruppo di famiglie che abitavano in quel luogo romito, con la chiesetta intitolata alla Conversione di s. Paolo, era nata qualche tempo prima nell’animo di p. Pietro Campi, superiore della comunità di Sezano. Egli sentiva forte attrattiva e possedeva anche una collaudata attitudine per la vita parrocchiale. In effetti era stato parroco in un paese della diocesi di Vicenza prima di entrare nel nostro Istituto. P. Zaupa, superiore generale (nativo di Chiampo come p. Campi) l’aveva destinato direttore della Scuola Apostolica per gli anni 1940-43. P. Campi non si sentiva molto a suo agio in quell’incarico e così accettò volentieri l’invito dei paesani di Corso di celebrare la messa festiva nella loro chiesetta e di prestarsi per le confessioni il sabato pomeriggio. Egli si recava lassù alla vigilia delle feste e passava la domenica nel ministero e nella fraternità con quella buona gente che lo amava, e dove si sentiva gratificato forse più che per il suo ruolo di direttore della Scuola Apostolica. Egli invitava spesso con sé anche altri confratelli e nelle solennità pure i chierici.

Lassù, accanto alla chiesetta, vi era la "casa canonica", minuscola, che riattata poteva contenere, pigiate, sei o sette persone.

Dunque con alcuni professi salii lassù allo scopo di riposare e di passare un periodo di vacanza "in montagna".

Eravamo accampati in alcuni locali, con una specie di cucinino, ammassati in due stanze-dormitorio e la "sacrestia" come luogo d’accoglienza. Nessuna comodità, ma tutti felici.

La gente della contrada era formata soprattutto di donne, fanciulli e vecchi, perché i giovani e gli uomini erano in guerra o alla macchia. Vedevano in noi quasi un segno della Provvidenza. La s. Messa tutti i giorni, il rosario, i canti, le funzioni con tanto "clero", e le parole del sacerdote erano di sollievo e di conforto per chi viveva preoccupato dei propri cari lontani ed esposti continuamente a gravi pericoli.

Eravamo lassù quando avvenne la caduta del fascismo, il 25 luglio 1943. Furono momenti d’emozione e di euforia perché si riteneva che la fine della guerra fosse vicina. Invece niente di tutto questo.

L’estate quell’anno fu torrida. L’unico pozzo che forniva l’acqua alla contrada si prosciugò e la gente fu costretta a rifornirsi d’acqua ad una sorgente lontana circa due chilometri, portandola a secchi, col bigollo.

Quel soggiorno fu per noi una bella e significativa esperienza e ancor oggi, dopo tanti anni, la ricordiamo con nostalgia.

Intanto la comunità di Sezano ebbe un nuovo superiore. Trascorsi tre anni p. Campi declinava l’incarico e veniva sostituito da p. Emilio Moresco come superiore della Scuola Apostolica.

Io, subito dopo la festa dell’Assunta, tornai a Sezano, ma non in buone condizioni, anzi più sconquassato di quando ero salito per le vacanze. Il caldo, la cucina approssimativa, l’acqua poco igienica che si beveva, la difficoltà di un vero riposo in quell’ambiente, finirono per dare il tracollo alla mia salute… Dovetti arrendermi e mettermi a letto.

Vi stetti per più di un mese. Quando l’8 settembre venne proclamato l’armistizio tra Badoglio e gli Alleati, io stavo immobile in letto ascoltando le notizie, spesso contrastanti, di chi mi veniva a visitare. Udii il boato causato dallo scoppio della polveriera del forte Cancello. Fu provocata, mi dissero, per l’imprudenza della gente che approfittando dell’anarchia di quei giorni asportava da quell’edificio militare tutto quello che poteva, anche la polvere da sparo.

Tutti pensavamo che la guerra fosse finita, invece fu l’inizio di nuovi orrori, della massima confusione tra gli Italiani e dell’occupazione di metà della Penisola da parte dei tedeschi. Ritornò Mussolini, fondò la Repubblica di Salò, ricostituì un esercito italiano con gli elementi più estremisti e "i forzati di leva", e proseguì la collaborazione (meglio, sottomissione) con i tedeschi. Nacquero i "nazi-fascisti". La lotta fra partigiani e fascisti si inasprì e divenne spietata. La popolazione era esposta agli attacchi dei partigiani, alle ritorsioni dei tedeschi, mentre s’intensificavano i bombardamenti aerei di giorno e di notte.

Io ero sotto cura del medico di Grezzana dott. Fraccaroli il quale aveva diagnosticato una "febbre intestinale". Mi ordinò qualche medicina e mi prescrisse un severo digiuno. Ma la febbre non spariva. Arrivai ad un punto tale di spossatezza che mi sentivo morire, più per la fame che a causa della malattia. Ne fu impressionato anche il Provinciale il quale, (per consolarmi!), mi rimproverò di aver preteso troppo da me stesso durante i due ultimi anni, e… minacciò un severo e lungo periodo di riposo, una volta guarito.

Fu così. Quando Dio volle stetti meglio, cominciai a nutrirmi, ma sentivo indosso sempre una grande sfinitezza e soffrivo d’insonnia: insomma segni di esaurimento.

Impossibile in quelle condizioni pensare di riprendere l’insegnamento. P. Vittorio Gardumi prese una decisione chiara e drastica: riposo assoluto per un anno. Il cronista di Sezano annota: "Ottobre 1943. P. Cappellina ci lascia per un periodo di necessario riposo; per la scuola lo sostituisce p. Ignazio Bonetti". (Bert. 1946, p. 11). Il quale, p. Bonetti, dovette rimandare ad altro tempo la conclusione dei suoi studi di teologia presso l’Angelico di Roma.

5. Non nascondo che questa decisione mi causò momenti di tristezza. Lasciare l’insegnamento appena cominciato, lasciare la Scuola Apostolica, per andare... dove? Ma Dio vede e provvede!

Quando fui a Verona davanti al p. Provinciale, lo trovai imbarazzato nel ricercare una casa stimmatina che fosse adatta per me, casa dove presumibilmente non vi fossero incursioni aeree, perché dovevo riposare e "distendere i nervi", e dove si trovasse possibilità di cibo sufficiente e sostanzioso, cose difficili in quei tempi. Io azzardai a dirgli che tutto questo avrei potuto trovare nel mio paese natio, Bagnolo di Lonigo, senza mettere in imbarazzo qualcuna delle nostre comunità. Accolse immediatamente la proposta e permise di recarmi presso i famigliari fino a completo ristabilimento.

La mia famiglia non aveva molte possibilità e la soluzione perciò doveva venire attraverso altre vie. Fui accolto con gioia dal mio parroco il quale volle che mi stabilissi con lui in canonica e consumassi presso di lui la colazione. Per il pranzo e la cena si offrì, per tutto il tempo del mio soggiorno, una famiglia benestante del paese. Era la famiglia De Pieri composta da tre fratelli anziani: una donna nubile, un signore celibe e l’altro sposato, ma vedovo. Viveva in famiglia anche una figlia giovane, mentre un’altra, era andata sposa da non molto tempo al sig. Domenico Fraccaroli, ed abitava a Verona. I signori De Pieri conducevano un’azienda agricola di circa 250 campi (vicentini). Possedevano stalla con buoi e mucche, una corte con animali bipedi: tacchini, faraone, galline. Fu per loro un vero piacere avermi a tavola tutti i giorni per il pranzo e la cena. Oltre a me, ospite quotidiana, vi era pure la maestra del luogo. Nativa del paese, da anni insegnava nelle elementari della frazione. Quasi tutti i bambini del luogo erano stati suoi scolari. Nubile, dinamica, piacevole e spassosa nella conversazione, era stata allora "mobilitata" dai pubblici poteri. Non poteva cioè assentarsi senza preventiva autorizzazione, pronta ad ogni eventuale chiamata delle autorità. Una specie d’assistente sociale per il paese, punto di riferimento per notizie e pratiche riguardanti i soldati al fronte, i prigionieri e loro familiari. Profondamente cristiana, aveva appeso in chiesa, davanti all’immagine della Madonna, un quadretto con i nomi di tutti i militari sotto le armi. Ogni giorno faceva pregare perché la Vergine delle Grazie li tenesse sotto la sua protezione e li facesse tornare a casa sani e salvi. Si teneva al corrente della loro situazione, scriveva ad essi di frequente, visitava le famiglie, confortava i loro genitori. Durante i pasti in casa De Pieri essa sosteneva la conversazione che generalmente verteva sulla guerra in corso.

Il parroco mi voleva bene, mi faceva celebrare, predicare e tenere qualche riunione serale, riunioni che dovevano cessare prima delle 22.00, ora in cui iniziava il coprifuoco. Era stato lui ad accompagnarmi dagli Stimmatini a Sezano nel settembre 1927. Conosceva il nostro Istituto tramite p. Pietro Campi del quale era stato compagno di studi nel seminario di Vicenza, prima che entrasse nel nostro Istituto. Aveva una punta d’originalità, ma era zelante e generoso. Predicava con forza in chiesa e ripeteva spesso: "Spachè la radio, brusè i giornai – cambiar vita bisogna, e allora la guerra finirà".

La guerra! Era l’argomento del giorno e la tragedia delle famiglie e dell’Italia. Tutti i miei compagni d’infanzia erano dispersi nei vari fronti, qualcuno anche prigioniero. Mio fratello partì da casa fin dall’inizio della guerra, mio cognato, di cui avevo benedetto il matrimonio nel 1941, fu chiamato poco dopo a "servire la patria" sul fronte russo. Si trovava in "quell’inferno" quando l’anno dopo battezzai la primogenita. Assistevano al rito la maestra, un rappresentante del comune e qualche persona vicina alla politica, al fine di testimoniare la solidarietà dello Stato e del "Partito" per i combattenti di prima linea.

Un segno della situazione ibrida e confusa di quei momenti si notava anche in quel piccolo paese. Vivevano nascosti o semi nascosti tre ex militari siciliani i quali, quando l’esercito italiano si era sfasciato (8 settembre 1943) non poterono tornare alla loro terra. Erano ospitati presso una famiglia di campagna, facevano qualche lavoro, attendendo giorni migliori.

Vi erano pure tre militari inglesi… spariti nel folto della campagna. Durante il giorno travestiti da agricoltori si confondevano con gli operai e la notte dormivano in qualche "casotto". Ma la loro situazione era divenuta insostenibile a causa delle frequenti ed improvvise perlustrazioni dei tedeschi. Con la guida di qualche partigiano, per vie non controllate e con marce notturne, raggiunsero le formazioni partigiane operanti nella zona del Carega.

6. Intanto riprendevo le forze e mi sentivo ristabilito. Dopo la festa dell’Immacolata ricevetti una lettera di p. Goffredo Friedmann il quale a nome del Provinciale mi invitava a redire ad propria. È la frase esatta, che ricordo bene dopo tanti anni.

Ritornai a Verona e presi dimora alla ss. Trinità nei locali non requisiti, insieme a qualche altro confratello. Naturalmente dovevo rimanere in assoluto riposo! Di quel breve periodo ricordo un’operazione compiuta insieme a p. Vittorio Vettori. Dietro invito dei superiori, ci mettemmo a scegliere e trasportare in luogo sicuro i libri più preziosi della biblioteca delle Stimate. Facemmo quel piccolo ma prezioso servizio in una quindicina di giorni e poi con un camioncino portammo i volumi presso la famiglia Coatti in un paese della Valpolicella, che mi pare fosse Marano, ma non lo giuro.

Intanto arrivò il 1944. La guerra non accennava a finire. L’Italia era divisa in due: il nord dove operavano i nazi-fascisti, il centro-sud occupato dagli Alleati, "liberatori". Il fronte di guerra si era spostato sugli Appennini dove i tedeschi avevano organizzato la resistenza su una linea chiamata ironicamente "linea gotica". I bombardamenti si intensificavano e la città non era il luogo più adatto per vivere e tanto meno per "riposare".

Così un certo giorno il p. Provinciale decise di rimandarmi a Sezano, sempre con l’obbligo di non assumermi alcun impegno: l’anno sabatico doveva essere rigorosamente rispettato! Non ricordo (e non trovo riscontri) quando risalii la strada del ritorno che porta a Sezano. Un ricordo è certo: il 7 marzo si tenne a Sezano "l’accademia in onore di s. Tommaso, resa più solenne dalla presenza di p. Giuseppe Fiorio." (Bert. 1944, p. 12). Era stata organizzata da p. Ignazio Bonetti sul gusto delle "dispute" che avevamo conosciute all’Angelico di Roma. Io ero presente. Ricordo che dissi a p. Fiorio di essere stato preconizzato insegnante di teologia morale ai chierici per l’anno seguente e avanzavo la difficoltà della mia giovane età ed inesperienza (avevo 28 anni). Egli mi rispose che da quell’inconveniente sarei guarito giorno dopo giorno! Passati quindi quattro mesi di ferie, ritornai nella mia comunità della Scuola Apostolica.

 

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