Tentativi vari

 

L’altro tentativo coraggioso, forse audace, a cui si applicò p. Fantozzi fu quello di chiedere Castel San Pietro al Comune di Verona in cambio di una costruzione da erigersi per accogliere i fanciulli dell’Istituto Calderara, che lo occupavano. La cosa andò avanti assai. Fu presentata al Consiglio comunale dal vicesindaco avv. Giuseppe Trabucchi e discussa. Le discussioni però degenerarono in polemiche sulla stampa cittadina la quale vedeva di malocchio la distruzione del castello per costruirvi un santuario. (Cfr. Documento aggiunto).

Interessi di partito, sentimenti anticlericali, proteste ridicole si davano la mano; così che, per troncare tutto e non porre l’Amministrazione in imbarazzo, la cosa fu messa a tacere.

Io però ero contrario a tale soluzione perché, secondo il progetto, lassù doveva andare anche la Scuola Apostolica; il piazzale doveva rimanere aperto sempre a turisti e visitatori e a tutti era concessa la possibilità di visitare i ruderi romani e medievali all’interno delle mura di cinta.

P. Fantozzi incominciò ad avere parecchie persone ostili, in casa e fuori. Un po’ la colpa era anche sua: chiacchierava troppo e con troppi, spinto dal suo entusiasmo, e credeva fossero sostenitori delle sue idee proprio quelli che ne erano contrari.

Ma egli non disarmava, anzi in ogni tentativo fallito vedeva la mano della Provvidenza affinché ne venisse una soluzione migliore. E in realtà sarà proprio così!

A questo punto (non so l’anno preciso) entrarono in scena due persone che dovevano avere grande parte nel realizzare il progetto della ricostruzione del Santuario: il prof. Piero Gazzola e l’ing. conte Iseppo Loredan, suo profondo amico. Essi furono i consiglieri di p. Fantozzi e gli artefici delle successive realizzazioni.

Essi suggerirono di richiedere al Demanio Militare il forte s. Sofia con annessi terreni e di costruire lassù il Santuario e la sede della Scuola Apostolica.

Proposero inoltre di scegliere come progettista del costruendo complesso l’arch. Paolo Rossi de’ Paoli invece dell’arch. Bonomi da Monte, il quale aveva assistito p. Fantozzi fino a quel momento. Tale consiglio teneva conto del fatto che l’arch. Rossi de’ Paoli abitava a Roma e quindi era fuori della piazza di Verona, ma soprattutto veniva proposto perché era uno dei più quotati architetti del momento.

Venne redatto un disegno di massima, furono presentate le pratiche ai competenti uffici, ma dopo un periodo di attesa, venne risposto che il forte s. Sofia non sarebbe mai stato dismesso, perché sede della piccionaia militare, e inoltre perché aveva una forma perfetta e caratteristica, perciò da conservare come opera storica.

La delusione di padre Fantozzi era al colmo, e lo scoramento assai profondo. Voleva lasciare tutto e ritornarsene a Roma, rimettendo il mandato nelle mani del Superiore generale. Simile sfiducia si era impossessata pure di p. Giovanni Cervini, Provinciale, che aveva sempre seguito con passione tutti i ripetuti tentativi.

Nel medesimo tempo il progetto di ricostruzione dell’edificio delle Stimate, presentato dall’architetto Vincita, veniva ripetutamente bocciato a Roma. Sicché un senso di inquietudine era sorto tra i confratelli della comunità verso il Superiore provinciale e suo consiglio, quasi che non si interessassero di loro per andare dietro "ai sogni" di d. Fantozzi, sogni che poi si risolvevano in delusione e in dicerie sul nostro conto.

Inoltre rispuntava l’idea di assegnare la sede delle Stimate alla Scuola Apostolica e di trasferire la scuola, il convitto e opere annesse, nel territorio della ss. Trinità, dove si sarebbe potuto costruire ex novo un complesso moderno, con ampi cortili, palestra, piscina, ecc., avendo a disposizione 17.000 metri quadrati di terreno. Tale soluzione rinunziava o astraeva dall’idea di una possibile ricostruzione del Santuario.

Questi sentimenti, di cui più di un confratello non faceva mistero – e che erano condivisi anche da un consigliere provinciale – furono causa di amarezze, e talora anche d’impedimento per l’agire dei superiori e di p. Fantozzi. Anche a Roma, presso il Superiore Generale p. Dionigi Martinis, questi tentativi a vuoto e i conseguenti malumori e dicerie facevano breccia.

Dopo un po’ di tempo passato nell’incertezza, durante il quale p. Fantozzi fu sostenuto dalla preghiera ed anche dal conforto e dall’appoggio di d. Giovanni Calabria, i due "suoi consiglieri" Gazzola e Loredan proposero di chiedere al Demanio la cessione del forte militare di san Leonardo. Come nacque l’idea e come si concretizzò questa scelta non lo so. P. Fantozzi, che non si perde mai d’animo, accondiscese alla proposta, ma questa volta con poca fiducia e nessuna speranza. Ma a poco a poco la fiducia andò aumentando.

Si persuase che la posizione del Santuario sul colle san Leonardo era migliore di quella del forte s. Sofia e si mise con la consueta energia a tentare la nuova occasione. Si rendeva conto che la cosa si presentava ora più difficile a causa della lunga attesa e dell’aria poco favorevole, sia in alto che in basso.

Il p. Generale, di passaggio per Verona, e messo al corrente della nuova prospettiva, volle vedere personalmente la posizione. Ma non gli parve adatta, soprattutto per l’ubicazione del seminario religioso, o Scuola Apostolica, che gli sembrava troppo ad occidente, coperta dal colle s. Leonardo, esposta ai venti, isolata. E poi mancava assolutamente una strada, almeno degna di questo nome.

Fu in questo momento e in questo contesto che p. Fantozzi propose al Provinciale d. Cervini – dietro suggerimento del binomio Gazzola-Loredan – che io fossi suo collaboratore nella realizzazione della difficile impresa, e poi a poco a poco di essere personalmente interlocutore nelle trattative a nome e per conto dell’Istituto, sempre mettendolo al corrente dei passi compiuti o che si andavano a compiere. Ancora: la vecchiaia progressiva, le indisposizioni frequenti, i ricoveri all’ospedale non permettevano a p. Fantozzi di seguire l’evolversi della situazione. E d’altra parte, mi sembra di poter dire, che egli non era il tipo adatto per questo. Uomo dalle grandi idee, di fervida inventiva non godeva di eguale capacità nel realizzare, e di senso concreto nelle scelte particolari. In più, ben presto dovette essere ospitato nella comunità di Sezano, per avere l’assistenza pronta e continua dell’infermiere, e saliva a Boscochiesanuova con gli studenti durante la stagione estiva».

 

Questo è riportato nelle annotazioni del 1953, con qualche lieve ritocco verso la fine. Non posso non approvare tutto, oggi a distanza di 45 anni. Ci sono delle differenze da allora: i fatti sono più lontani e la memoria si è più arrugginita, ma ho potuto consultare dei documenti, come Il Bertoniano, i Verbali del Consiglio provinciale e alcune carte d’archivio.

 

 

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