NOTE DI VIAGGIO

Scritte nel 2° ritorno dalla Cina

13 settembre 1951     

30 Novembre 1951

 

Settembre 1951

Giovedì 13.9.1951

Partiamo da Pechino noi due soli: P. Mario Stefanini e P. Severino Fontana. Piove. Vengono a salutarci fino alla stazione i padri She Cosimo (nostro diocesano), Leone Mascolo OFM, Fortunato Tiberi OFM, Rodrigo Bonaldo Carmelitano. Padre Battista Carnovali ci saluta in casa (n.8 del 12° vicolo) e poi rimane, per evitare la troppa commozione, e per non essere costretto a domandare il permesso di uscire ai capoccia della cellula dei riformati (aderenti alla triplice indipendenza).

Alle 9 saliamo sul “Treno Modello = Muo Fang Tchee”: i quattro che restano sulla banchina della stazione a stento trattengono le lacrime. Anche a casa padre Severino non sapeva come fare a staccarsi dai cristiani e dalle suore. Io sono fuggito prima avviandomi innanzi.

Alla stazione di TIEN-TSIN c’era ad attenderci padre Daniele (Belga) della Procura dei Francescani.

Venerdì 14.9.1951

Facciamo visita ai Padri di Parma: Dagnino Lampis ed Emaldi. In ospedale (italiano) troviamo un certo padre Wang (del Jehor - Mons. Osté che ammalato da tre anni dà ammirabili esempi di pazienza, e fa ardente opera di apostolato con quanti vanno a trovarlo. I cristiani, posti ogni giorno in difficoltà dai comunisti, lo consultano con stima e fede.

Sabato 15.9.1951

Celebro Messa al Sacro Cuore (Chiesa dell’ospedale) e poi andiamo con padre Daniele alla banca: io, padre Quinto Frabboni OFM, Madre Alberta e Suor Alfreda (Francescane d’Egitto). Per uscire dalla Cina concedono ad ognuno 120 dollari di Hong-Kong.

Per le ore 13 siamo invitati a pranzo dal signor Console Filo Della Torre. Io sono invitato a presentarmi un po’ prima, per avere con lui un colloquio confidenziale circa il nostro Mons. Martina. Dopo il desinare ci tratteniamo in giardino fino oltre le 15: tutto in pubblico, perché i signori comunisti possano vedere e restare tranquilli. C’erano, oltre noi due, i padri Frabboni e Naldini (Gesuita).

Domenica 16.9.1951

Pranziamo presso i Padri Parmigiani. Padre Fang Paolo, Salesiano di Pechino, viene a portare l’ultimo saluto e l’ultimo ringraziamento a padre Quinto Frabboni, che per tanto tempo si è speso presso di loro. Vorrebbe restare fino alla nostra partenza di domani, ma non può nemmeno lui, sebbene sia cinese. La polizia ci sorveglia accuratamente. Per mezzo suo rimando a Pechino il mio ombrello.

Lunedì 17.9.1951

Celebro la Messa alla chiesa dell’ospedale, per supplire padre Dagnino. Ieri, domenica, ho potuto anche confessare non pochi cristiani.

Dal SHAN-TUNG arriva padre Hessler SVD. Rimpatria anche lui dopo 44 anni di Cina. Salutiamo i Parmigiani e anche padre Rimoldi delle Missioni Estere Milano e poi alle 16 ci rechiamo al porto, per imbarcarci sulla “Hang-Yang”: nave inglese di duemila tonnellate.

Alla porta della dogana tutti ci devono lasciare. Polizia e caricatori ci prendono in severa custodia. Troviamo le nostre due suore italiane; altre tre suore belghe, e anche due Padri di Scheut.

Minuzioso controllo delle nostre poche cose, e anche delle nostre persone. Guai ad esportare anche un solo biglietto da 100 (2 lire)... La Repubblica Popolare vigila!

Sulla nave c’erano già due suore francesi di san Vincenzo; uno studente gesuita: Frère Denis, ed un Marista cinese: Frère Paul: 15 missionari in tutto, comprese le suore.

Martedì 18.9.1951

Ci svegliamo molto per tempo, e ci troviamo ancora nel porto di TIEN-TSIN. Celebriamo subito le Sante Messe. Alle 5.45 si lasciano gli ormeggi. Al di là delle barriere poste lungo il fiume, scorgiamo Madre Gennarina che è venuta a dare l’ultimo saluto a suor Alfreda e madre Alberta. Addio!

Ci piange il cuore a lasciare questa nostra patria di elezione! Ma nessuno osa dire nulla o osa manifestare comunque, un sentimento. I poliziotti (maschi e femmine) che stipano i ponti, i corridoi e le sale di bordo, sono le immagini del nostro terrore. Guai ad aprire bocca! Si può essere presi e riportati a terra. La pressione degli animi deve assolutamente restare piatta. Quello che più ne freme è fratel Paolo, che è cinese, ma essendo nativo di Hong-Kong, è cittadino inglese.

Alla stazione di Pechino abbiamo passato visita di dogana al bagagliaio della stazione. Io (come un novizietto) mi sono presentato con la lista completa di quanto contenevano le mie valige (scritta in italiano e in cinese), ma non mi ha giovato molto! All’ingresso della banchina dei treni (sempre a Pechino) altro controllo dei documenti, della nostra persona e del piccolo bagaglio portato a mano. A TIEN-TSIN, prima di lasciare la stazione: altro controllo, altre annotazioni e ancora timbri.

Per svincolare le due valige più grandi, bisogna di nuovo aprirle e svuotarle per controllare. Poi per montare in nave: come ho detto sopra. Ora siamo qui con questi brutti signori alle costole! Si vorrebbe non aver bisogno nemmeno di respirare!

Lungo il fiume, sulle due sponde, si scorge qualche fattoria, qualche edificio industriale, qualche rudere causato dalla guerra.

Alle 10 arriviamo a TANG-KU (Sbocco del PEI-HO sul mare), e si resta fermi per 4 ore. Si fa carico. Alle 18 siamo arrivati al largo ma ci si ferma ancora una volta per completare il carico. Sulla destra c’è un pontone, che sembrerebbe niente, ma poi invece rivela certe viscere zeppe di sacchi di soia, che danno lavoro a tutti gli argani fino alle prime ore del mattino. Il fondale lungo la costa è basso, e non sarebbe stato prudente uscire a pieno carico. C’è poi il bisogno di nascondere (almeno ai più minchioni) quello che si passa tra comunisti e inglesi. Tutta quella soia è troppo preziosa per poter dire che viene ceduta a poco prezzo. Le quattro stive della nostra nave ne sono ricolme. E loro: “quelli là” sono ancora lì; siamo ancora nelle acque territoriali, e loro sono nel loro diritto!

Mercoledì 19.9.1951

Finalmente possiamo girare per il ponte senza vederli più! Anche gli ultimi sono discesi durante la notte: l’incubo è finito!

Si stenta però ancora ad avviarsi alle confidenze. Sul ponte di prua ci sono certi figuri che non si sa chi siano. Sono meridionali; parlano un linguaggio incomprensibile per noi pechinesi. Devono essere di Hong-Kong; viaggiano con tutta la loro mercanzia esposta all’aria. Uno porta in una gabbia quattro gatti quasi che fosse quattro polli. Ci sono balle di cavoli cinesi, ceste di gamberi ecc.

Basta!

Un poliziotto cinese, che parla tutti i dialetti, è sempre in mezzo a quella gente per sorvegliarli. Noi ce ne teniamo lontano. Il mare è mosso; la nave tiene bene, grazie al suo pieno carico. Il primo a sentirsi male è il gesuita francese: Fr. Denis.