Venerdì 4 Marzo 1949

Sono già passato a SIN-CHWANG-TOW con buona grazia del capo paese e ormai mi sento sicuro. Anche qui cristiani nuovi ma fervidi e ben formati. Tutto con mutua coddisfazione. Battezzo anche una catecumena di più di 30 anni che da diversi anni ormai vive la vita cristiana, con edificazione di tutti. Noterò come questi due paesi ed altri cinque o sei si trovano entro il perimetro della YI-HSIEN di duemila e più anni addietro. YI-HSIEN allora era grande e importante perché era capitale di uno stato potente: lo stato di YENK-UÒ. La Cìna allora viveva allo stato feudale ed era divisa in molti stati e principati. La YI-HSIEN dei nostri giorni è la terza YI-HSIEN; i ruderi della seconda si trovano a nord di essa e sono ancora ben visibili, benché non molto importanti; presto però saranno completamente livellati. Il contadino cinese è stato definito un verme roditore, che rode la terra di cui è padrone; figuratevi se può astenersi dal rodere ciò che è antico...

Dell’antica città non rimangono che alcuni ruderi delle mura di ovest: cumuli di argilla battuta, non ancora disfatti dalle intemperie e dall’opera del contadino. Tutto il resto è completamente scomparso. L'immaginate voi il luogo di una città antica che aveva chilometri e chilometri di mura (circa una trentina) perfettamente appianato, senza un sasso, un cimelio o altro che lo ricordi? In Cina ciò è possìbile, perché le case come le città, sono fatte di argilla e di carta. 

Sabato 5 Marzo 1949

Passo sul territorio di YI-HSIEN, appena a un chilometro dalle mura. Sono a K’ANG-KO-CHWANG

paese triplice, ossia diviso in tre sezioni, ben distinte e distanti. Vi sono solo pochissimi cristiani: un’intera famiglia guadagnata alla fede per le benemerenze della Santa Infanzia, e qualche altro convertito piuttosto languido. I pagani di questi tre paesi sono quelli che fecero il bottino nelle nostre residenze di città, quando i missionari partirono per Pechino (giugno 1947). Mi è stato raccontato che tra l’altro si sono impadroniti dei quadri sacri più belli e li hanno portati alla casa del popolo, dove li hanno fissati ai muri come quadri d'ornamento. Li trovano molto belli e ne vanno fieri, ma avendo qualche cristiano cercato di spiegar loro il significato religioso, non hanno voluto assolutamente dare ascolto, mostrandosi affatto increduli.

Dopo aver disposto per la Messa di domani, vado in città per fare visita alle autorità, per rivedere le nostre case dopo dieci anni che manco dalla Cina e dopo circa due anni da che sono state abbandonate. Mi sento del tutto incapace di riferire la pena e la stretta al cuore che provai nello scorgere le mura della città diroccate nella metà superiore. Mura bellissime, all'esterno perfettamente conservate, ben tenute anche all'interno; antiche di quattro o cinque secoli (dinastia Ming?). La nuova civiltà che avanza fa strage di tutto; e questo, purtroppo, non è che un saggio. Entrato in città la trovai quasi deserta. Mi infilai senza complimenti dentro il portone della residenza principale e mi diedi a girare per i cortili. Prima una, poi 2, poi 3 persone si misero silenziosamente al mio seguito, scrutando le mie intenzioni. Non c'era bisogno di presentazione e capirono subito chi fossi. Chiesi di poter visitare la cappella, e subito premurosamente me l'aprirono. È piena di granaglie, poiché l’intera casa è occupata da un consorzio di mercanti. Visitai ad una ad una le varie casette e quando stavo per finire chiesi ai miei accompagnatori: “Ma voi siete civili o militari?” - Il loro berretto mi dava qualche dubbio; il vestito era il solito cinese. Risposero evasivamente, ma in realtà i civili sono controllati dai rappresentanti del Governo. Uno allora, si attentò a chiedermi: “Sei venuto a rivedere la tua casa?” - “Già, la casa è mia e sono venuto a vedere in che stato si trova!” - “La casa è tua? - disse - e perché allora siete fuggiti coi Nazionali?” - Lo fissai negli occhi con dolore e con sdegno e ribattei: “Certi perché non occorre domandarli!”.

Il suo malanimo era evidente; intendeva accusarci di parteggiare per Chan Kai-She, però sentendosi colpito in viso, se ne andò senza più comparire. Gli altri che non erano degli stessi sentimenti, seguitarono ad accompagnarmi molto gentilmente e all’uscita mi fecero mille scuse. Li assicurai che non ero venuto per cacciarli, ma semplicemente per una visita.

Me ne andai in Prefettura, ma non trovai nessuno, all’infuori di un custode. Proprio in quei giorni il Governo stava trasferendosi dalla campagna in città e sarei dovuto tornare dopo qualche giorno. Me ne andai allora a cercare i nostri cari morti e dopo aver vagato per la campagna, finalmente trovai. Non più croce, non un segno di recinto, non una pianta; la rabbia pagana ha abbattuto quello che i nostri avevano cominciato a fare.

Dodici cumuli, appiattiti dalle piogge, e i primi due di essi sono i due miei compagni di viaggio quando venimmo in Cina nel 1932.

Pregai fervorosamente e raccomandai loro questo mio andare, chiedendo la loro protezione, perché potesse essere sicuro e fruttuoso.

Ritornato in città per altra via, andai a visitare le altre residenze: la casa delle Suore Francescane d’Egitto, quella delle Figlie del Sacro Cuore, la sede della Santa Infanzia un piccolo orticello, e trovai tutto ben conservato, guardando dall’esterno. Non potei infatti penetrare in alcun luogo, avendo trovato dappertutto porte sbarrate. Mi diressi allora alla Questura e là potei trovare qualcuno a cui rivolgermi. Dopo qualche domanda diffidente, vedendomi più che disinvolto, mi trattarono in modo quasi cameratesco. Sono tutti giovanissimi questi impiegati comunisti e più che di lavorare, pare che abbiano voglia di scherzare. 

Domenica 6 Marzo 1949

Un vento potente che pare voglia travolgere anche le case, mi ferma a KANG-KO-CHWANG tutto il giorno. 

Lunedì 7 Marzo 1949

Vado in Prefettura e trovo chi mi accoglie molto bruscamente: “Che vieni a fare? Perché non torni in patria tua?” - “Vengo per vederti e per parlarti. Quanto a tornare in patria mia, non ne ho alcuna intenzione; sono venuto in Cina da pochi mesi e non ho alcuna nostalgia della mia patria.” - “Nei posti dove tu vuoi andare la gente non riconosce più la vostra religione.” - “Se non la riconosce più - dissi - non fa niente; io voglio andarvi, per rivedere le mie case e le mie proprietà. Farò un rapido giro e poi ritornerò a Pechino. Per mezzo del Prefetto di CHU-CHOW ho già ottenuto il permesso delle autorità superiori. Voi qui e loro là siete tutti rappresentanti dello stesso Governo popolare”. - “Sì - aggiunse - è vero quello che tu dici. Abbiamo ricevuto disposizioni da Mao Chuhsi che ci proibiscono di impedire a voi missionari di girare”. Una simile resa a discrezione, pronta e spontanea, mi meravigliò non poco. I comunisti vogliono sempre fare la bella figura di essere grandi e generosi, rispettosi della libertà altrui, ma poi hanno sempre molte risorse per privare uno di quello che apparentemente gli concedono. L'esperienza mi aveva già insegnato qualcosa e molto più doveva insegnarmene.

Per il momento, però, mi conveniva mostrarmi soddisfatto, e non insistetti, limitandomi a dichiarare le linee generali dell'itinerario che intendevo seguire. Il mio interlocutore deve aver riso dentro di sé, prevedendo come prima o poi sarei finito nella loro rete: l'astuzia e la malizia hanno dei mezzi antichi quanto il mondo.

Partii allora per LIANG-KO-CHWANG (11 Km) e l'onda della commozione prese a risalirmi dal cuore. Andavo portato dal vento, che mi batteva sul fianco, e gli occhi erravano qua e là, mai sazi di rivedere e di riconoscere quei luoghi. Ad un certo punto il petto cominciò a dolermi, quell’aria fredda mi frugava le costole. Avevo il giacchettone di pelle (del tipo autista) ma non bastava. Per non sudare troppo avevo tolto la pelliccia interna e ciò fu la mia rovina. Arrivato al vecchio cimitero di LIANG-KO-CHWANG mi fermai brevemente per riconoscere la nuova sistemazione operata per evitare il pericolo dell’inondazione. Fu allora che il petto cominciò a dolermi così forte da non poterne più. Arrivai comunque in paese e m'infilai dentro la residenza del seminario minore, senza domandare permesso a nessuno. Vi è adesso la sede del Commissariato (Ciu) e subito qualcuno si mise silenziosamente sulle mie orme. Visitai le case, il seminario, la nuova chiesa (eretta nel 1940) in buono stato e piena, anch’essa, di granaglie. Mi presentai infine al Commissario, che con i suoi sottoposti stava discutendo animatamente non so quale affare. Poche domande e la mia presentazione lo resero soddisfatto.

Quello che fu più amaro per lui fu l'invito insistente da parte dei pagani, fatto a me in sua presenza, perché quanto prima avessimo a tornare in Missione. Non disse niente, ma si fece scuro in volto; quelle aperte simpatie distruggevano d’un colpo tutta la loro lunga opera calunniosa a nostro carico.

Visitai anche la residenza delle suore, dove al presente sono due scuole, anche là meraviglia e disappunto nel vedermi. Quel giorno stesso avevano gettato sulla strada una famiglia cristiana (Ly Lao Leang) che era come custode della casa. A1 vedermi capitare così inaspettato temettero che la sorte dovesse voltarsi contro di loro e che dovesse toccare a loro quello che essi avevano fatto agli altri. Feci cercare uno dei capi dei cristiani (Jong Pi) e con lui me ne andai a casa sua, per essere ragguagliato sulla situazione locale e anche sulle possibilità di ministero.

Gioia e meraviglia da parte sua non finivano più. Battezzai un suo bambino di qualche mese e gli diedi istruzioni sul modo di invitare qualcuno dei sacerdoti cinesi per curare i cristiani del posto. Ripresi quindi YI-HSIEN per seguire l’itinerario che mi ero tracciato: all'imbrunire arrivavo a LIU-LING-CHWANG. Mi accolsero con grande fede. Il cristiano che mi aveva preceduto con il bagaglio li aveva prevenuti, ed essi cominciarono a radunarsi anche dai paesi vicini. Sono cristiani nuovi, ma molto fervorosi e ben formati.

Parlai loro della Madonna e delle apparizioni di Fatima. Mi ascoltarono fino a tarda notte e poi in mia presenza recitarono il Rosario e le preghiere della sera. Ascoltai anche un po’ di confessioni, ma presto dovetti interrompere: mi sentivo male.