Martedì 8 Marzo 1949

A stento posso celebrare e poi tutto il giorno sto disteso sul K’ang, con grande ansia e pena dei cristiani. Temono addirittura che debba morire, perché qui non ci sono né medici, né medicine. Mi fanno mille proposte, ma io cerco di differire qualsiasi decisione per vedere come si mettono le cose. Si tratta di un po’ di congestione polmonare. Intanto capita un cristiano di K’ANG-KO-CHWANG con una lettera venuta da Pechino. Mons. Tarcisio Martina mi sconsiglia dal procedere più oltre e mi richiama verso LAI-SHUI. Faccio dare la risposta dal maestro cristiano Ma Wentsai. 

Mercoledì 9 Marzo 1949

Vento turbinoso e gran polvere, come sempre in Cina. I cristiani trovano per strada un medico cinese, che se ne torna dal mercato. Me lo conducono per farmi visitare. Lui arriva fiacco fiacco, con la testa avvolta in un asciugamano (difesa contro il vento e il polverone), mi guarda e mi visita come se l'affare non fosse suo; e poi, quieto quieto, se ne va lasciandomi la ricetta per due pozioni. Con 70 dollari ho pagato tutto. Cosa volete; in Cina è così: fare il medico è cosa molto onorevole ma poco lucrosa. Intanto, però, i cristiani ne hanno pensata un’altra nonostante i miei divieti. Per mezzo del cristiano venuto e ripartito ieri, hanno mandato ad avvisare le suore di PING-SHANG perché vengano con medicine e mezzi di trasporto per portarmi via.

Il maestro poi va a YI-HSIEN in cerca di qualche mezzo più rapido. Insomma io ho buttato all'aria tutta la comunità cristiana, prima per la gioia del mio arrivo, poi per l’apprensione esagerata per la mia indisposizione. Ad ogni buon conto mi sorbisco le due pozioni aromatiche, e con gran sudare comincio subito a star meglio. A1 calar della notte arriva da PING-SHANG (30 Km) l'infaticabile suor Lucia Tung, fornita di medicine e col carro dell’ambulanza (un carro agricolo). Vorrebbe che non bevessi la seconda medicina, per curarmi lei con le sue, ma io insisto per obbedire al medico fino in fondo.  

Giovedì 10 Marzo 1949

Sto appena in piedi ma sono guarito. Le medicine cinesi (tutta roba vegetale) sono così: non guariscono le malattie, le stroncano.

Vista la lettera di Mons. Martina e l’apprensione di tutti mi decido a lasciarmi trasportare verso LAI-SHUI, e così abbandono questi cristiani senza aver fatto nulla di concreto. 

Venerdì 11 Marzo 1949

Sono stato bene tutto il viaggio; mi avevano preparato proprio un buon letto sul carro. Ora, però, sono spossato da non poterne più, non riesco a riposare che a brevi tratti. 

Sabato 12 Marzo 1949

Mi sento esausto e mi pare di stare peggio di quando mi sentivo male. 

Domenica 13 Marzo 1949

Da KAO-LÒ viene padre Ts’ai Job; celebra la Messa festiva per i cristiani e dà anche a me la santa Comunione. 

Martedì 15 Marzo 1949

Da SUAN-HWA-Pechino arriva Padre Francesco Saverio Ghow, che va in famiglia per un breve periodo di vacanza. È la prima volta che lo vedo dopo tanti anni. Mi racconta un po' di novità di casa nostra, e anche di SUAN-HWA, dove io passai due anni di seminario. 

Mercoledì 16 Marzo 1949

Dopo sette giorni, di nuovo posso celebrare la santa Messa. 

Venerdì 18 Marzo 1949

Padre G. Ghow (fratello minore di padre F. Sav) mi porta da Pechino una lettera partita da Parma in ottobre.

Sabato 19 Marzo 1949

Tempo coperto e rigido; ho passato una brutta nottata. Dopo la Messa me ne sto ritirato tutto il giorno. 

Domenica 20 Marzo 1949

Verso le 11 parto in blcicletta per LY-TSUN (12 Km). Prendo le cose con molta flemma, perché le forze mi bastano appena. Il sudore mi inonda subito, ma me la cavo senza danni. Bisogna che vada a Pechino per rimettermi e per far vedere che sono ancora vivo. Il maestro Ma Wentsai dopo essere stato a YI-HSIEN, è andato anche a Pechino e li ha messi tutti in subbuglio. Volevano venire loro a prendermi, ma i padroni non permettono assolutamente agli stranieri di uscire di città. 

Lunedì 21 Marzo 1949

Circa le ore 9 parto in bicicletta per CHUO-CHOW (30 Km) dove arrivo in tre ore. Si vede che la natura ha delle buone risorse: non credevo proprio di farcela ed avevo calcolato di dovermi fermare per strada. Alle 14.10 parte il treno: alle 17.30 arrivo a Pechino, e alle 18.15 sono in casa. Sorpresa e meraviglia, ma soprattutto gioia di vedermi ancora così in gamba. 

Giovedì 31 Marzo 1949

Vorrei ripartire per poter passare la santa Pasqua in Missione. Vado ad assumere informazioni alla stazione. Passo anche dalla polizia, ma ne vengo affatto dissuaso. Io insisto che io ho il mio regolare permesso di cui non ho ancora usufruito del tutto e che ho la mia roba fuori in campagna e non posso abbandonarla alla ventura. Rimango un po’ indeciso sul loro intimo pensiero: credo volessero dire che certe cose si possono fare, ma non si devono domandare. Riferisco in casa questo mio parere. 

Sabato 2 Aprile 1949

Fidandomi della mia interpretazione e, sempre più pressato dal desiderio di trovarmi in Missione in tempo utile per le Feste, parto con padre Airaghi e vado alla stazione. Tutto sembra andare bene, ma quando stiamo per montare sul treno la polizia ci raggiunge e con la scusa (o meglio con l’accusa) del passaporto ci riporta sui nostri passi. E qui è necessaria una buona spiegazione per intenderci chiaro: il passaporto richiesto dai nostri cari amici, non è quello italiano di cui eravamo debitamente forniti, e nemmeno la carta di identità rilasciata dalle Autorità precedenti di Pechino: essi intendono sempre il passaporto del nostro Governo Popolare. Tutti i visti regolari avuti a Roma ed a Hong Kong per loro sono invalidi, non li riconoscono; tutti i permessi, concessioni, ecc. dati dal Governo Nazionale sono invalidi: loro non li possono riconoscere. Essi sono i fondatori della nuova Cina e vogliono rifare tutto ex novo.

Luigi XIV°, re di Francia, diceva: “Dopo di me venga il diluvio”; essi in certo modo dicono: “I1 diluvio è passato prima di noi”. Il raggiro dal punto di vista legale, sembra ben paradossale ed irragionevole, ma non per questo ripugna loro che lo applicano strettissimamente. Del resto, trattandosi di raggiri, è inutile cercare la ragionevolezza.

Finimmo al Commissariato di stazione, e poi a quello generale, e dopo una buona reprimenda, specialmente al mio indirizzo, ce ne tornamrno a casa. 

Lunedì 4 Aprile 1949

Vista l'impossibilità di uscire per la via comoda e dritta, cerco di scappare per una via traversa. In bicicletta vado a NAN-YUAN, dove dimorai qualche tempo prima di Natale.

All’uscita di città, né polizia né militari mi dicono niente: vedono e lasciano andare. Presso i cristiani del posto assumo altre informazioni, ma essi non sanno nulla dei divieti che ci sono per uscire o entrare in città. Comincio a sperare di poter proseguire; a casa, però, ho lasciato detto che mi aspettino di ritorno fino a domani sera. Soffia un potentissimo “sipei” (vento di nord-ovest), che sul mezzogiorno diventa addirittura feroce. Però non sono solo per strada, e quando non si può procedere si smonta cercando di ripararsi gli uni con gli altri. La sabbia ci avvolge da ogni lato, ma quando il vento ci è di schiena si procede vertiginosamente. Attraversata la ferrovia che da Pechino va a TIEN-TSIN dovetti subire un minuzioso controllo a tutto il mio piccolo bagaglio. Mi aspettavo che mi mandassero indietro, invece mi fecero le loro scuse per quel disturbo. “C’è della gente - dissero - che trafuga armi o altre cose che non si possono trasportare. Noi dobbiamo esercitare un severo controllo. Scusaci e vai pure per i fatti tuoi”. - Non me lo feci ripetere due volte: inforcai la bicicletta e via col vento. Alle cinque di sera ero a SIHU-LING dove c’è una chiesa ed una bella comunità di cristiani. Il loro parroco era tornato il giorno stesso da Pechino dove era stato rifugiato.