27 Giugno

 

 

EMILIO RECCHIA (sacerdote)

 

NATO:

Verona (S. Luca) – 19.2.1888

PRIMA PROFESSIONE:

15.8.1905

SACERDOZIO:

Udine – 3.9.1911

MORTO:

Verona (S. Leonardo) – 27.6.1969

ETÀ: 81 anni

 

 

Frequentava le nostre scuole alle Stimate, e da quelle passò tra gli aspiranti. Appena sacerdote dimorò brevemente a Pistoia e Milano. Durante la guerra fu mobilitato come cappellano militare, e cadde prigioniero dei tedeschi. Subì la prigionia in Germania. Dal 1921 al 1928 fu cooperatore a S. Croce in Roma, addetto alle opere giovanili. Dal 1928 al 1934 fu Padre Maestro a Verona e Trento, Direttore dello studentato a Verona, direttore delle Stimate. Eletto Consigliere Generale ritornò a Roma e diventò parroco di S. Croce al Flaminio. Per più di trent’anni si prodigò in maniera esemplare in tutte le opere di ministero, specialmente le più umili. Per la sua umiltà e semplicità, la gente lo venerava come un santo. Godeva la stima dei superiori ecclesiastici e anche del Papa. Senza doni particolari, senza grande eloquenza, senza mezzi economici, poté fare un bene immenso. È avviato alla gloria degli altari.

 

Versione inglese

 

Verona Fedele 1° marzo 2020 – Vita ecclesiale pagina 19

Padre Emilio Recchia dichiarato venerabile

Lo Stimmatino veronese fu parroco a Roma e diede protezione a numerosi ebrei salvandoli dalla deportazione nei lager.

Con il decreto promulgato dalla Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco ha riconosciuto le virtù eroiche di padre Emilio Recchia, sacerdote veronese. Nel gergo ecclesiastico viene definito venerabile: è un passo importante sul cammino verso la canonizzazione.

 

Chi era padre Emilio

Padre Emilio Recchia fu un veronese doc, nato proprio nel cuore di Verona, nella parrocchia di San Luca nel 1888. Era il sesto di undici figli. Il papà Camillo era un agiato commerciante e amante della lirica; aveva ricoperto anche la carica di segretario del Filarmonico, massimo teatro della città.

Emilio ha vissuto un’infanzia molto vivace, era considerato il monello per la sua indisciplinata condotta e per la sua prontezza nel fare piccoli dispetti a fratelli e vicini. A casa era incontenibile; mostrava, però, un cuore sensibile e generoso. A 15 anni entrò nella Congregazione delle Sacre Stimmate di Nostro Signor Gesù Cristo (gli Stimmatini), fondata da San Gaspare Bertoni, che nei primi anni del Novecento, con il Patronato operaio Pio X, era uno dei luoghi più fervidi e vivaci del movimento cattolico scaligero. Dopo il noviziato e la prima professione, fu costretto per motivi di salute a interrompere gli studi liceali, che continuò da privatista a Gemona del Friuli. Venne ordinato presbitero il 3 settembre 1911 a Udine e svolse i primi anni di ministero nell’animazione della gioventù, nella predicazione e nella direzione spirituale a Gemona, Pistoia, Verona e Milano. Divenne quindi maestro dei novizi e direttore del seminario stimmatino.

 

Prigioniero di guerra

Durante la Grande Guerra fu cappellano militare del 247° Reggimento di fanteria e fatto partire per il fronte. Per i soldati era un padre. Un giorno uno di loro, padre di famiglia, venne incaricato di portare un ordine attraverso una valletta battuta dai tiri nemici. Il rischio era grande e quel poveretto aveva le lacrime agli occhi, pensando ai figli che sarebbero rimasti orfani se fosse stato colpito. Padre Emilio, senza pensarci due volte, si fece dare l’incarico e andò lui stesso. Disse più tardi che si era sempre meravigliato per la rapidità eccezionale con la quale aveva percorso, incolume, quel pericoloso tragitto.

Nel pomeriggio del 30 ottobre 1917, verso le 15.30, sulla strada di San Daniele del Friuli, le truppe austriache sferrarono un pesante attacco contro i soldati italiani, in mezzo ai quali si trovava anche padre Emilio. Fu dato l’ordine urgente e perentorio di ritirarsi per sfuggire all’attacco nemico. Ma parecchi soldati cercarono di resistere eroicamente e molti caddero e furono feriti dalle pallottole. A padre Emilio che aveva già raggiunto una buona distanza dalla zona pericolosa, giungevano le urla di soccorso e i lamenti dei compagni che giacevano a terra. Incurante di quello che sarebbe potuto accadergli, ritornò sui suoi passi e cominciò a confortare i morenti con i sacramenti della Chiesa e ad aiutare i commilitoni, tamponando come poteva le ferite. Continuava, intanto, fitta la grandine della morte. Lui, per niente impaurito, come se nulla stesse accadendo, proseguiva il suo santo ministero. Gli austriaci circondarono i pochi superstiti e padre Emilio con loro. Li incolonnarono con le mani dietro la nuca e li fecero camminare per decine di chilometri verso nord, fino a Judajusna. Di lì, ammassati in carri ferroviari, furono trasportati alla fortezza di Rastatt. Padre Recchia continuò, poi, il viaggio fino a giungere al campo ufficiali di Schwarmstedt, provincia di Hannover, dove, prigioniero, continuò l’opera di cappellano fino al 3 gennaio 1919.

 

Parroco a Roma

Nel giugno 1934 viene nominato parroco di Santa Croce al Flaminio in Roma. Nel suo diario annotava: «Mi consumerò per la parrocchia fino alle mie ultime forze». E così fu. Sembrava che la mente e il cuore fossero in continuo esercizio per inventare sistemi ed iniziative pastorali adatte a incontrare e attirare i parrocchiani. Numerose erano le iniziative religiose e ricreative, a favore dei ragazzi, dei giovani e degli adulti. La sua predicazione semplice ma profonda, toccava i cuori e faceva gustare le cose belle di Dio. Aveva una marcia in più e, pur nella fragile salute, non si risparmiava. Sull’Osservatore Romano del 14 giugno 1959 fu pubblicato un articolo su padre Emilio Recchia in occasione dei suoi 25 anni di parroco, e viene nominato come «benemerito e zelantissimo, da tutti chiamato il parroco della bontà». Si distinse per una particolare attenzione e coinvolgimento con i più bisognosi, i poveri, gli ammalati, gli sfollati e i perseguitati ebrei. Piccolo di statura, fragile di costituzione, ma pieno di zelo apostolico: era l’angelo che passava per le vie del quartiere romano nei pressi di Ponte Milvio, per incontrare, consolare ed incoraggiare. Pur nell’intensa attività, sapeva essere un uomo di grande unione con Dio, dal quale attingeva energia, luce e vita.

 

Giusto tra le Nazioni

Il 13 febbraio 2014, nella Sala Arazzi del Municipio di Verona, alla presenza delle autorità, vennero consegnati i diplomi e le medaglie di Giusti tra le Nazioni in memoria di padre Emilio e padre Alberto Tambalo, stimmatini veronesi, per aver salvato centinaia di ebrei dai campi di sterminio, nascondendoli nei locali della chiesa di Via Guido Reni a Roma. «Verona si senta orgogliosa di contare, fra i tanti che hanno dato massimo aiuto a fratelli ebrei, nel momento peggiore della loro storia, due suoi cittadini, sacerdoti stimmatini. Essi sono stati ufficialmente nominati Giusti fra le Nazioni dalla nota e prestigiosa Yad Vashem di Gerusalemme – il Centro ebraico per la ricerca, la documentazione, la storia e la memoria, circa il tragico olocausto, perpetrato dal nazifascismo negli anni Quaranta del secolo scorso a carico di sei milioni di israeliti d’Europa». (Dan Haczrachy).

 

Le Olimpiadi del 1960

Nell’estate del 1960 Roma ospitò i giochi olimpici e per gli atleti furono costruite varie opere e strutture nel campo Parioli. Non si pensò però di erigere nessuna chiesa o luogo di culto preferendo nominare la chiesa di Santa Croce al Flaminio come «Parrocchia ordinaria degli olimpici». I parroci viciniori, scherzando, dettero a padre Emilio il titolo di «Parroco Olimpico». Ma c’era poco da scherzare, bisognava in tutta fretta organizzare per bene e a puntino, come lui desiderava da sempre, il servizio religioso agli atleti di tutto il mondo. Radunò, innanzitutto, alcuni confratelli poliglotti per amministrare il sacramento della confessione. Fece poi stampare dei volantini in più lingue per aiutare gli ospiti nelle preghiere e nella preparazione ai sacramenti. Curò particolarmente la celebrazione della santa Messa festiva che per tre domeniche consecutive vide la chiesa incredibilmente piena di inglesi, spagnoli, tedeschi …

 

L’amicizia spirituale con Padre Pio

C’era, intanto, un sacerdote, che, senza mai aver visto padre Emilio, misteriosamente sapeva già tutto di lui: padre Pio da Pietrelcina. Talvolta qualche fedele di Santa Croce al Flaminio si recava a confessarsi o a chiedere consigli del Santo Frate e si sentiva rispondere in modo quasi burbero: «Ma perché non andate dal vostro don Emilio?». Il Parroco faceva recapitare a padre Pio queste righe: «Preghi perché faccia una buona morte e mi dia la sua benedizione». A 73 anni padre Emilio comprese che la sua missione stava arrivando sulla linea del traguardo. Chiuse la sua laboriosa giornata terrena a Verona il 27 giugno 1969.

 

Le parole di padre Miranda

Padre Rubens Miranda, Superiore generale degli Stimmatini scrive: «Padre Emilio Recchia realizzò l’ideale del religioso fedele alla sua consacrazione. La fede fu il fondamento di tutte le altre virtù. Nutrì un’intensa vita spirituale, soprattutto con l’ascolto della Parola di Dio, la preghiera anche notturna davanti al Santissimo Sacramento e la recita del Rosario che lo portava alla profonda unione con il Signore. Visse un’eroica speranza nel suo abbandono fiducioso in Dio, trasmettendola anche a quanti lo avvicinavano, soprattutto malati e sofferenti. Esercitò la carità verso il prossimo, dedicandosi con grande dedizione all’apostolato. Mirò alla perfezione attraverso la fedeltà quotidiana alla vita religiosa, preoccupandosi principalmente della salvezza delle anime. Eroica fu la sua costante donazione al prossimo: assisteva i malati, soprattutto se moribondi; soccorreva i poveri e i disoccupati, difendeva i deboli, consolava i sofferenti. Amava dedicarsi alla catechesi dei bambini e agli esercizi spirituali per gli adulti. Fu un formatore di coscienze, incoraggiando alla santità, conservando un atteggiamento mite, pronto all’ascolto di tutti coloro che si rivolgevano a lui per essere guidati. Luminoso fu il suo esempio di povertà evangelica, obbedienza e umiltà».

 

 

Arena 2.3.2020 – Pagina 17

IL RICORDO. Il superiore Livio Guerra restituisce il ritratto di un uomo che sempre si adoperò per star vicino agli ultimi.

Padre Recchia è Venerabile

Fu il «Parroco della bontà»

Comunità stimmatina in festa per le virtù eroiche riconosciute al prete che con coraggio salvò centinaia di ebrei dalla deportazione nazista.

Francesca Saglimbeni

La personalità vivace – “incontenibile”, si tramanda addirittura – che ne caratterizzò soprattutto la fase adolescenziale, fu tutt’altro che d’ostacolo al progetto serbato dalla volontà celeste circa il suo ruolo tra le pieghe (e le piaghe) dell’umanità. Costituendo, anzi, il primo segno distintivo del suo stesso carisma. Quello di «un uomo dedito alla professione sacerdotale in modo pieno e instancabilmente gioioso. Dotato di una abilità inventiva e spirito di ironia che lo rendevano amabile agli occhi di tutti». È il ritratto della Semplicità quello restituito da padre Livio Guerra, Superiore della comunità stimmatina di Verona, quando gli si chiede di tratteggiare la figura di un suo certo confratello, nato nel centralissimo vicolo Volto San Luca.

Ma anche il ritratto di un altro veronese (“benemerito e zelantissimo” scriveva l’Osservatore Romano del 1959) sulla via della santità: il servo di Dio padre Emilio Recchia, che su decreto della Congregazione delle Cause dei Santi, il 21 febbraio scorso, è stato ammesso alla schiera dei Venerabili, per le virtù eroiche riconosciutegli da papa Francesco.

Il «Parroco della bontà», come lo definivano gli abitanti del Flaminio di Roma, dove svolse gran parte del suo ministero, si distinse infatti per un’attenzione agli ultimi (poveri, sofferenti, disoccupati) portata all’apice con la messa in salvo di centinaia di ebrei della shoah.

Padre Recchia, classe 1888, abbracciò la vita religiosa, entrando nella Congregazione delle Sacre Stimmate di Nostro Signore Gesù Cristo a soli 15 anni, per essere ordinato sacerdote nel 1911, a Udine. Una statura minuta la sua, compensata da una capacità di donarsi al prossimo smisurata, ben nota sia ai novizi che lo ebbero come educatore presso le Stimate di Verona (dove fu anche padre superiore), sia alla comunità romana finita sotto la sua ala.

Nella città eterna, il religioso – formato da padre Albano Clementi figlio spirituale di San Giovanni Calabria – portò tutte le esperienze pregresse (di animatore della giovantù in Friuli, a direttore spirituale a Pistoia e Milano), anche le più drammatiche. «Diceva che la guerra lo aveva plasmato al sacrificio, ricorda padre Livio. Tant’è che, pur essendo di salute cagionevole, non si sottrasse ad alcuna opera caritatevole, nemmeno nei campi di morte. Arruolato nella fanteria della Grande Guerra, prese generosamente il posto di un soldato, padre di famiglia, incaricato di portare un ordine assai rischioso. E durante l’occupazione nazista, con l’aiuto del confratello, sempre veronese, Alberto Tambalo, offrì protezione a numerosi ebrei, e non solo, nascondendoli nei locali segreti della chiesa di Santa Croce. Azione valsa a entrambi la medaglia di “Giusti tra le Nazioni”, conferita in loro memoria nel 2014, con una cerimonia nel municipio scaligero.

Nella parrocchia di Santa Croce promosse iniziative pastorali per giovani e per adulti molto attrattive, conquistando la stima del clero locale e l’affetto degli abitanti del quartiere, che desiderava sempre incontrare uno ad uno. Una fama giunta persino alle orecchie di padre Pio, il quale ai fedeli provenienti da Roma, tra il serio e il faceto rispondeva: «Ma perché non andate dal vostro padre Emilio?». Segno di un’ammirazione fattasi largo anche nel Santo di Pietrelcina.

 

Consegna dell'Attestato di Giusto tra le Nazioni

Arena del 2.3.2020 Pagina 17 (a destra)

 

La proposta di Mauro Bonato

E il Comune approva l’intitolazione di una via

Un evento profetizzato. Alla vigilia della promulgazione del decreto per la sua venerabilità, il Consiglio comunale di Verona, con voto unanime, approvava in memoria di padre Recchia un’altra nobile onorificenza: l’intitolazione di una via/piazza. Proposta giunta dal capogruppo di Verona Domani Mauro Bonato, accolta subito con grande entusiasmo: «In questo momento storico . spiega-, in cui l’odio la fa da padrone e il 15 % degli italiani crede che la Shoah sia stato un fenomeno gonfiato, è quanto mai necessario ricordare questo umile prete veronese, che mandato nella Capitale a fare il parroco salvò centinaia di ebrei e alcuni ufficiali del disciolto esercito italiano dalla deportazione». Una figura tutta da riscoprire, che visse gli orrori sia del primo che secondo conflitto mondiale, «partecipando come cappellano militare in Friuli, alla Grande Guerra, dove il 30 ottobre 1917, nonostante l’ordine del ritiro, rimase accanto ai commilitoni. Fino all’esperienza di prigionia nel campo di Schwarmstedt, dove fino al 1919 continuò la missione di cappellano».

Un uomo di ineccepibile fede «in quel suo affidarsi alla Madonna, affinché preservasse la parrocchia di Santa Croce dai bombardamenti del ’43-44», ma anche di concreta azione. Dal suo unico biografo Nello Dalle Vedove, apprendiamo ad esempio che per le Olimpiadi del 1960, «la Chiesa di Santa Croce fu nominata parrocchia ordinaria degli olimpionici e il parroco veronese – scherzosamente battezzato “Parroco Olimpico” – si diede davvero un gran da fare per offrire un servizio religioso impeccabile». Innanzitutto radunò i confratelli poliglotti in modo da garantire il Sacramento della confessione a tutti gli atleti. Poi fece stampare le preghiere in diverse lingue, e curò personalmente tutte e tre le sante Messe festive, affollando la chiesa di inglesi spagnoli, tedeschi e di tante altre nazionalità. Nel 2014 Yad Vashem l’Istituto israeliano per la commemorazione dei martiri e degli eroi dell’olocausto ha assegnato ai parenti di don Emilio e a quelli di padre Alberto Tambalo che fu suo vice nella stessa basilica, la medagli di Giusto fra le Nazioni. F.SAGL