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Ultimi lavori e Inaugurazione

 

Un primo ed urgente lavoro che si imponeva era l’allargamento della via d’accesso al Santuario. La strada esistente, aperta dai militari per servizio del forte, aveva l’ampiezza di una mulattiera o poco più, insufficiente per un traffico normale.

Il traffico sarebbe in seguito aumentato a causa dell’afflusso di pellegrini, visitatori e mezzi di trasporto. Era necessario rivolgersi ai signori Gerard, proprietari del terreno che confinava con la stradina militare. Anche per condurre queste trattative l’incarico venne affidato all’ing. Loredan. E le condusse con tanta abilità e delicatezza da indurre i proprietari a cedere una striscia di terreno per la lunghezza di tutta la strada, di complessivi mq 2.653. L’atto di compravendita è del 10 febbraio 1958.

Nell’atto vi è una condizione a noi sfavorevole, e che indusse, probabilmente, i signori Gerard ad acconsentire alla vendita. Consiste in questo: i venditori si sono riservati il diritto di avere uno sbocco sulla strada d’accesso, qualora venisse concesso il permesso di costruire case d’abitazioni sulla rimanente loro proprietà. Clausola per noi dura, ma non potevamo fare diversamente. Ci tranquillizza tuttavia la persuasione che le Autorità non concederanno mai l’autorizzazione a costruire alcunché sul quel crinale.

Trovo in una nota del cronista: «Lavori di sterro aperto dalle ruspe sulla stretta strada sassosa che mena al Santuario. Al suo posto viene aperto uno stradone ampio dal fondo a movimento, per ora, piuttosto ondoso, ma in via di sicura sistemazione!». (Echi, 1962, p. 62).

Eravamo nella primavera del 1962. In seguito il provvidenziale lascito del sig. Compostella, verso la valle, permise di dare maggior ampiezza alla strada, di creare un filare di alberi, e di ricavare un marciapiede riservato ai pellegrini itineranti. Venne realizzata così una decorosa, devota, incantevole via d’accesso al cuore del Santuario della Madonna, ianua cœli.

 

A proposito di alberi, durante quel tempo, e in tempi successivi, furono attuate altre piantagioni in tutta la zona. Attorno al muro di cinta del piazzale del Santuario, punteggiandolo con piante di medio fusto allo scopo di coprire la parete senza ostacolare la visione dall’alto del piazzale. Sul terrapieno del forte – terreno arido e di riporto – vennero messi a dimora numerosi olivi e cipressi, con l’aiuto pure di un Cantiere di Lavoro. Ma il suolo inospitale, il vento che tira frequente d’inverno e, forse anche la mancata costanza nel sostituire le piante appassite, non hanno permesso finora che si avverasse il desiderio del prof. Gazzola e dell’architetto Rossi De’ Paoli, di poter cioè ammirare la cupola del Santuario sullo sfondo verde delle piante. Tuttavia mi par giusto di esprimere la nostra soddisfazione e la profonda gratitudine a Dio per quanto è stato possibile realizzare fino ad oggi. La zona di san Leonardo è diventata un’oasi di verde e di pace. Sul colle si innalza verso il cielo l’incanto del Tempio sacro a Maria e dall’alto della sua grotta la Vergine Immacolata, vestita di sole, riceve l’omaggio gioioso di tanti figli.

All’interno del Santuario, l’architetto aveva previsto pochi elementi decorativi: raffigurazioni lungo il tamburo della cupola e quattro dipinti nella parte circolare. Per eseguire le figure plastiche, in rilievo, l’architetto propose un artista affermato, Vittorio Di Colbertaldo suo amico, di origine veronese, ma residente a Roma.

Per gli affreschi, pensava alla signora Elena Schiavi, moglie del prof. Gazzola. Ma non poté attuare questo desiderio a causa dell’assoluta contrarietà di Gazzola, ed anche perché da parte nostra non potevamo disporre di mezzi. Bisognava rimandare l’attuazione a tempi migliori!

Si decise invece di effettuare le raffigurazioni a rilievo. Lo scultore Di Colbertaldo aveva al suo attivo importanti lavori, eseguiti in Italia e all’estero. Ricordo, a memoria: una statua raffigurante Cristoforo Colombo, negli Stati Uniti – la statua equestre di un principe indonesiano, a Giakarta – il monumento al paracadutista, a Viterbo – il monumento al marinaio, a Taranto – la statua di Jan Palach, a Roma, (il giovane Ceco che morì, appiccandosi il fuoco).

All’artista fu dato l’incarico di rappresentare i misteri del Rosario, in 15 formelle. La materia che egli avrebbe preferito era il bronzo. Ma la spesa per noi riusciva troppo elevata. Si scelse una via di mezzo: il 1° mistero sarebbe stato effettuato in bronzo, mentre gli altri in stucco, un misto di calce e polvere di marmo. Lo scultore affermava che le formelle sarebbero riuscite egualmente bene. Ci riferì come egli, poco tempo prima, avesse ammirato a Palermo delle figure eseguite con quella tecnica e di esserne stato conquistato. Si mise al lavoro con entusiasmo.

Il primo mistero, quello dell’Annunciazione è espresso in due formelle di bronzo da collocare – secondo il desiderio dell’architetto – una alla sinistra dell’altare maggiore, l’altra alla destra.

Le formelle furono realizzate nella fonderia Brustolin, di Verona. Le altre 14 trovarono degna collocazione tutt’intorno al tamburo della cupola.

Il giudizio? Ai posteri l’ardua sentenza!

All’architetto piacquero assai, ad altri meno. Certo le figure risultano troppo piccole per coloro che le guardano dalla chiesa. Il colore grigio non le distacca sufficientemente dalla superficie della parete. Tuttavia se si tiene conto dell’effetto decorativo, il giudizio è più favorevole. Viste da vicino, poi, si ha la sensazione di trovarsi di fronte a un vero lavoro d’artista: per la disposizione delle figure, l’espressività delle persone, l’unità della composizione. Sembra di rivivere l’armonia, composta e ispirata, delle maioliche robbiane del Quattrocento. Peccato che questi misteri del Colbertaldo non siano stati ancora fotografati e raccolti in un album!

Il medesimo scultore, nel 1975, eseguì per noi l’urna che racchiude la salma del nostro fondatore p. Gaspare Bertoni, appena dichiarato Beato, e conservata nella chiesa delle Stimate a Verona.

 

 

La grotta dell’Immacolata

 

Un pensiero che preoccupava l’architetto era quello della grotta. Egli aveva scelto il luogo dove collocarla, cioè all’esterno dalla chiesa, contro il muro dell’ex forte, di fronte al piccolo piazzale pensile, in modo che fosse visibile dall’interno del Santuario attraverso una vetrata. Ma confessava candidamente di non sentirsi ispirato a progettare l’opera.

Costruire una grotta, eguale a quella esistente a Lourdes, non aveva senso; crearne una di originale, ci voleva fantasia di artista, ed egli proprio non ce l’aveva. Pregò quindi di affidare l’incarico ad altra persona.

Un giorno lo scultore Colbertaldo ci riferì un incontro casuale avuto con un personaggio interessante. «Stamattina, disse, in fonderia Brustolin, dove ero per i miei bronzi, ho visto un fraticello tutto spirito, intento a seguire la fusione di un suo lavoro. Che non sia il caso di parlare con lui della grotta? Mi è parso sveglio, e poi ha più familiarità di noi con lavori del genere».

Andammo e lo incontrammo presso la fornace della fonderia. Esponemmo a lui il caso e lo pregammo di salire con noi sul colle s. Leonardo. Da principio si mostrava contrariato perché non voleva allontanarsi dal suo lavoro, poi accettò, e salendo con noi sul colle narrava la sua storia di religioso e artista: un altro Fra Claudio Granzotto, di Chiampo. Egli risiedeva nel convento annesso al Santuario di s. Maria delle Grazie ad Arco; aveva pure eseguito le porte in bronzo di quella chiesa.

Quando passammo vicino ai giardini sui bastioni della porta s. Giorgio, uscì in frasi di ammirazione, poi al vedere la porta della cinta muraria e la facciata della chiesa di s. Giorgio, non si tratteneva più dallo stupore. Arrivato a s. Leonardo, scorgendo il panorama della città e osservando il Santuario in fase di ultimazione, esaurì le parole del suo repertorio.

Parlò con l’architetto, si fece illustrare l’idea del Santuario e della grotta e disse: «No, no, qui una grotta non ci sta assolutamente, ci vuole solo un richiamo a quella che si trova a Lourdes, richiamo che si armonizzi con tutto il resto della costruzione. Se non le dispiace, la faccio io, la grotta! Ho già idea di come fare. Mi lasci pensare e le porterò il disegno, appena l’avrò pronto!».

 

 

Fra Silvio Bottes

 

Tutti contenti dell’inattesa soluzione, ringraziammo la Madonna dell’incontro con fra Silvio Bottes dotato di estro, di senso artistico e di candore francescano.

L’architetto fu soddisfatto del progetto. Fra Silvio eseguì i disegni particolareggiati, con le misure di ogni singolo pezzo di tufo. La società Marmi Vicentini di Chiampo, nostra vecchia conoscenza, fece arrivare tutto il materiale e fra Silvio fu pronto a venire a s. Leonardo per seguire i lavori, e sistemare personalmente con le sue mani i numerosi conci di tufo che compongono la grotta.

Poco tempo dopo (ottobre 1963) potemmo ammirare quel "richiamo" alla grotta di Lourdes, sgorgato dalla sua mente e dal suo cuore.

La soluzione fu molto discussa e da alcuni non accettata, almeno agli inizi. Tuttavia non si può dire che non sia geniale. Si inserisce nell’insieme senza turbarlo, è piena di movimento, pur nella compostezza, si fa notare, ma in sordina. È solo un ornamento – come in un altare barocco – alla statua dell’Immacolata che occupa, in piena luce, lo spazio centrale: quasi aurora consurgens!

Qualche tempo fa tramite un postino di classe (un pellegrino... che ama essere ospitato "gratuitamente" presso i conventi di religiosi!), feci pervenire a fra Silvio una foto della grotta con l’Immacolata, accompagnato da un biglietto in cui dicevo, che la bella Madonna di marmo posta nella nicchia da lui ideata, riceve continuamente le preghiere di migliaia di fedeli.

Mi rispose commosso! È colpito dal morbo di Parkinson, ma continua, come può, il suo lavoro e la sua missione di artista.

 

 

Rifiniture interne

 

L’architetto, che era preciso e non lasciava nulla all’improvvisazione, volle progettare personalmente pure le porte, le finestre e parte della suppellettile liturgica, come candelieri e croce astile. Ben riuscite, dal lato artistico, riuscirono le porte a vetro, con telai di metallo bronzato e decorati con piccole croci. L’esecuzione è stata curata da una ditta di s. Martino Buon Albergo.

Lo spazio del presbiterio invece risultò piuttosto sacrificato, e l’altare maggiore non fu per nulla all’altezza del tempio.

Particolare attenzione ebbero dall’architetto anche le cappelle laterali. Erano spazi esistenti nell’ex forte, conservati intatti al momento della demolizione, e ora legati e inseriti nella struttura circolare del tempio. Divennero due cappelle destinate a servizi cultuali e liturgici diversi. Una cappella per ospitare il Santissimo (come avviene nelle basiliche di Roma! – notava l’architetto). La cappella poteva essere adibita anche come ecclesia hiemalis. L’altra da riservare particolarmente alla celebrazione del sacramento della riconciliazione. (In seguito venne dedicata alla venerazione di s. Gaspare Bertoni).

Per queste cappelle, l’architetto volle fornire il disegno particolareggiato del paramento marmoreo delle pareti, perché riuscissero accordate perfettamente con le altre parti del sacro edificio.

 

 

L’arrivo della statua

 

Tutto, o quasi tutto, era pronto: mancava solo Lei, Nostra Signora di Lourdes.

Il 5 marzo 1964 la statua della Madonna Immacolata venne rilevata dalla chiesa delle Stimate e trasportata nella nuova dimora a s. Leonardo. Nessuna cerimonia, fu solo una normale operazione di trasporto. Quello che non fu normale, è stata la difficoltà derivante dal peso e le precauzioni messe in atto nell’imballaggio, consci del valore religioso e artistico della statua. Venne collocata al centro della "grotta-altare" con grande naturalezza e semplicità. Solo una riga del cronista a ricordo dell’avvenimento: «La Madonna è arrivata il 5 marzo. Ora è già sistemata nell’artistica, discussa nicchia».

Nel settembre 1963, p. Alberto Tambalo venne chiamato a Verona, preconizzato rettore del nuovo Santuario. P. Alessio De Marchi ricordava bene lo zelo e il dinamismo apostolico dimostrato da lui quando era rettore del Santuario in città, prima della distruzione. Egli, dunque, si mise al lavoro, riprese contatto con persone che conosceva e fece conoscenza con tante altre. Lo si vedeva spesso tra gli operai del cantiere, e teneva viva l’attesa tra i fedeli.

Quando la costruzione del sacro edificio poteva dirsi completata, vennero presi accordi con il vescovo monsignor Carraro per la benedizione del Santuario della Madonna Immacolata.

Fu scelto il giorno 31 maggio 1964, a sei anni esatti dalla posa (meglio: benedizione!) della prima pietra. Un’indisposizione del Vescovo fece slittare la data dell’inaugurazione a sabato 13 giugno 1964.

Cediamo la parola al cronista: «Ciò che in questi giorni ci occupa maggiormente è l’organizzazione della festa al Santuario. P. Cappellina e p. Tambalo, nonostante qualche apprensione della vigilia, sono onnipresenti.
P. Marchesini fa l’addetto stampa e pubblicità e p. Delama è assegnato ai microfoni; p. Romolo Bertoni istruisce il coro.

La cerimonia svoltasi la sera del 13 giugno riuscì imponente e devota. Il p. Provinciale p. Alessio De Marchi diede un cordiale benvenuto al Vescovo e alle Autorità, e quindi venne benedetto il nuovo tempio, e durante la Messa, Sua Eccellenza disse parole di elogio e incoraggiamento ai buoni padri Stimmatini.

Da oggi l’afflusso dei visitatori si presenta notevole, le numerose Messe sono frequentate, la statua, meno qualche voce sporadica, è unanimemente lodata per la indovinata posizione». (Echi, 1964, p. 54).

Il giorno seguente, 14 giugno: «Celebra per noi, comunità degli Stimmatini, presso la Madonna, il padre Generale, p. Gilberto Fini». (ibid.)

Era il suggello più alto e più vero: profonda riconoscenza a Dio da parte di tutto l’Istituto per il dono concesso di erigere un tempio all’Immacolata sua Madre – invocazione e pegno del flusso di grazie che scenderanno da Maria su quanti la verranno a trovare. Ed Essa, Maria, dal suo nuovo Santuario, in caverna maceriæ, guardi con occhi materni la città di Verona, e con le mani giunte, preghi Dio per tutti gli uomini.

 

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