Il prof. Pietro Gazzola

 

Il prof. Gazzola era soprintendente alle Belle Arti di Verona, Mantova e Cremona. La moglie, tuttora vivente, si chiama Elena Schiavi, pittrice. Si diceva che avesse identificato la tecnica che usarono i Romani nel dipingere gli affreschi di Pompei.

Nell’immediato dopo guerra venne ricostruita parte della biblioteca capitolare di Verona, distrutta dai bombardamenti, e la cappella interna venne affrescata appunto da Elena Schiavi. Si vedono le figure del marito, prof. Gazzola, di mons. Turrini, bibliotecario e di mons. Manzini, vecchio ma sempre lucido di mente e grande di cuore. Il Gazzola, a motivo di questi lavori – e più tardi anche per lavori nell’edificio del vescovado – aveva contatti frequenti con le autorità ecclesiastiche, compreso il vescovo, mons. Girolamo Cardinale. Aveva un profondo affetto ed ammirazione per mons. Manzini. Non solo per la sua cultura ma soprattutto per la sua profonda spiritualità. Fu monsignor Manzini che presentò p. Fantozzi al professor Gazzola. P. Fantozzi, coi suoi problemi così vicini alla sensibilità del Gazzola e al suo ufficio di soprintendente! Il Gazzola cominciò a conoscere e stimare p. Fantozzi, non solo per la profonda amicizia che lo legava a mons. Manzini, ma per il suo entusiasmo, per l’attaccamento al progetto e la sua spiritualità. Ricordo che, dopo una visita a p. Fantozzi alle Stimate, uscì in un’espressione del genere: «Bisogna dimenticare un po’ tutti questi affari e sentire parlare di Dio». E si sa che quando padre Fantozzi parlava dell’amore di Dio e di Cristo, della devozione all’Immacolata e della salvezza dell’anima, la sua parola si faceva ispirata e il tempo volava. Ne sapevano qualche cosa coloro che andavano a confessarsi da lui: meno di mezz’ora non se la cavavano!

Le grandi scelte, come la località per il Santuario, l’impostazione delle pratiche, la scelta dell’architetto, dell’impresa ecc., sono state compiute dietro suggerimento di Gazzola.

Il prof. Gazzola era un uomo un po’ schivo, di tratto affabile, signorile, spiccio; limpido nell’esporre e trattare gli affari, senza la minima pretesa di riconoscenza per ciò che faceva. Una cosa voleva ed esigeva assolutamente: che nessuno sapesse che egli era il consigliere di p. Fantozzi per il Santuario, perché ciò avrebbe potuto creare problemi, data la sua posizione di Soprintendente, funzionario statale.

 

 

 

Il Conte Iseppo Loredan

 

Altro protagonista fu l’Ing. Conte Iseppo Loredan.

Amico intimo del Gazzola fu presentato da lui a padre Fantozzi come un alter ego; come la persona più indicata per seguire e risolvere i problemi connessi con l’erezione del Santuario. Del resto ci voleva una persona che agisse per conto dell’Istituto presso le autorità, l’impresa e i fornitori. Più immediatamente, che fosse consigliere illuminato e fidato di padre Fantozzi.

Fu una scelta felice, direi provvidenziale, e diverrà la persona di fiducia degli Stimmatini in molte altre iniziative, pure dopo la morte di padre Fantozzi, il quale si apriva e si appoggiava a lui pienamente.

L’ingegnere d’altra parte, fu ammiratore affezionato di p. Fantozzi, pur dovendo spesso accondiscendere ad incontri e colloqui prolungati. Ricordo che una volta mi confidò: «Nei primi tempi che conobbi p. Fantozzi egli mi chiamava spesso, anche se non c’era motivo. Non so di che cosa parlassimo, ma uscivo dalla sua stanza soddisfatto».

Era una persona molto dotata: intuitivo, versatile, dialettico. Di tratto affabile, modesto, metteva tutti a proprio agio. Teneva uno studio professionale in via Oberdan 11, con due geometri. Fu per parecchio tempo presidente degli Istituti Ospitalieri di Verona e assessore ai Lavori Pubblici del Comune di Caldiero, dove dimorava – e ancora dimora la famiglia – in una villa posta di fronte alla nostra di Cadellara, e sua gemella nella struttura, Ca’ Rizzi. Soprattutto fu un grande cristiano, di profonda spiritualità, "una figura evangelica", come diceva lui di qualche altro laico. Non è qui il posto di dilungarci: accettazione della Volontà di Dio, perdono dei nemici e avversari, aiuto a persone che a lui si raccomandavano, o erano in necessità, addolorato ma aperto nel concedere che una figlia entrasse in un monastero di monache, onesto amministratore, padre amoroso ed educatore saggio dei figli (cinque femmine ed un maschio) tenero e retto con la sposa, sincero con i colleghi. E tutto questo con la più grande naturalezza, senza sovrastrutture: era e appariva un normale cittadino, professionista e padre di famiglia. Se mons. Pietro Albrigi disse che era un peccato non scrivere la vita di p. Fantozzi, mi sento di dire che è altrettanto peccato non mettere in luce la vita di questo Christifidelis laicus. Ricordo solo che più di una volta, quando veniva a Sezano di mattina per conferire con padre Fantozzi e con me, chiedeva di ricevere prima la Comunione, accontentandosi poi di un semplice caffè sorseggiato durante la conversazione.

 

 

P. Giovanni Cervini

 

Di p. Cervini, Provinciale dal 13 luglio 1946 al maggio 1952, quando venne eletto Consigliere generale, dirò poco, cioè quello che è attinente al tema della ricostruzione del Santuario e della Scuola Apostolica. Agli storici dell’Istituto il compito di parlare della sua personalità e della sua opera. Era di carattere fondamentalmente timido, sebbene le parole sprizzassero dalla sua bocca come da fontana. Aveva molto rispetto per la persona del p. Generale, temeva l’opinione pubblica, cioè i giudizi e gli umori dei confratelli, con pericolo di esserne condizionato. Aveva bisogno di sentirsi appoggiato per essere pienamente sicuro e deciso. Possedeva una visione chiara della Provincia e dei suoi problemi, nelle scelte e nell’attuazione concreta. Comunque occorre considerare l’enorme cumulo di problemi che aveva ereditato - e la necessità impellente di sanare le ferite causate dalla guerra a quasi tutte le comunità d’Italia, allora Provincia unica.

Gli fu molto prezioso, nei primi anni, l’aiuto di p. Michele Madussi e, nella parte giuridico-amministrativa, di p. Giovanni Reverberi.

Si sentiva perciò sorretto all’interno, mentre all’esterno era appoggiato dal binomio Gazzola-Loredan. Poté perciò dare il meglio di sé nell’attuazione del progetto: Santuario, Scuola Apostolica.

A rigor di logica la ricostruzione del Santuario non era per l’Istituto un impegno necessario e tanto meno urgente, mentre provvedere una sede per i nostri studenti seminaristi, era vitale. Più di qualche confratello era proprio del parere di lasciar cadere il problema della ricostruzione del Santuario. Diceva esplicitamente che tale progetto era solo un sogno, un’idea fissa di padre Fantozzi, e il parlare che ne faceva era perditempo, chiacchiere inutili e anche dannose per l’Istituto.

Per p. Cervini e il suo Consiglio invece, la soluzione dei due problemi doveva camminare insieme. Così a Castel s. Pietro, così a s. Antonio al Corso, così al forte s. Sofia e così sarà a s. Leonardo.

Non vennero per questo dimenticati gli altri problemi della Provincia, né fermata la sua espansione. Basti ricordare solo alcuni nomi: Cadellara, Boscochiesanuova, Caorle (per studenti), Pavia, Rieti, Antrodoco, i due pensionati di Milano.

Il Consiglio provinciale, agli inizi, permise che padre Fantozzi facesse le ricerche e i tentativi a titolo personale e solo più tardi intervenne assumendone in proprio la responsabilità, quando le cose si fecero più concrete e impegnative.

 

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