PORTO SAID - 14.11.1932

Alzata alle quattro. Il Conte Rosso si era da poco ancorato all'imboccatura del meraviglioso canale di Suez. Il porto era illuminato da mille e mille luci. Presso al nostro colosso, v'era un'infinità di navi, battelli, vaporetti, barche, barconi. Da per tutto un gridare indiavolato; oh! quei facchini come sono brutti, come sono terribili. Assaltano la nave in un batter d'occhio, corrono di qua e di là, vociando parole incomprensibili, con quelle facce nere! Ti vengono vicino, ti domandano in più lingue se volete qualche cosa. Portano casse e bauli pesanti sulle spalle abbronzate; mettono in movimento le gru, calano, caricano merci d'ogni genere. In principio fanno un po' di paura, ma poi ci si abitua. Figuratevi che appena fuor di cabina mi son incontrato con un bel pezzo di turco, col suo fez rosso in testa, con due occhiacci, nero, vestito all’araba. Capperi, la prima volta ebbi un po' di paura; ma poi... macché - tutta buona gente. Sul ponte assistemmo al magnifico spettacolo del sorgere del sole. Fasci immensi di luce d’oro, diffusi sul mare in un incanto di colori, di riflessi, di riverberi fantastici. Un sogno.

La città si vedeva in lontananza. Di fronte avevamo il gran canale. Ad ogni momento arrivavano navi d’ogni nazione e d'ogni forma; il canale sembrava una gola mostruosa, che gettava continuamente piriscafi e piroscafi. Si vedevano tutte le bandiere: italiane, francesi, inglesi, tedesche, ecc. Un viavai di barche, di vaporini, di motoscafi; gente d'ogni colore, in tutti i costumi. Dopo colazione, su un bel vaporino del Lloyd, messo a disposizione dei passeggeri ci recammo in città.

È un po' difficile descrivere questa città eminentemente cosmopolita, e soprattutto è difficile descrivere il carattere del suoi abitanti. Quanto abbiamo riso! Figuratevi, non si fa a tempo nemmeno a porre un piede in terra, che un’infinità di venditori ambulanti vi assalta in una maniera tale che non potete più fare un passo. Li vedeste, con le loro ceste in mano, a tracolla, sulle spalle, pieni di merce d'ogni specie: dalle cartoline illustrate, francobolli, medagliette, gingilli, alle scarpe, tappeti, vestali ecc. ecc. un bazar.

«Mon père, mon père, questo essere pello, necessario, vedere, vedere». E qui mille gesti, mille parole differenti e strane, con una insistenza unica. Né valgono le vostre repulse, i vostri continui rifiuti, vi sono sempre tra i piedi: vi liberate da cinque, e ne ritrovate subito dieci.

Alla dogana, carina anche questa, ci si presentò un bel pezzo d’uomo, alto, ben pasciuto, con un sorriso incantesimabile sulle labbra: «Oh! Io essere dracomano, essere sìsìsì... venire con io: io mostrare tutto, cinque sole lirette, cinque lirette». «No, no, non abbiamo bisogno, facciamo da noi, un'altra volta; si tenga pronto per un'altra volta». E via in fretta. Macché, quel bel tomo non voleva lasciarci a tutti i costi: allungava quelle gambone e via davanti a noi. «Cinque sole lirette, cinque sole  lirette», continuava a ripetere. Se vedeva qualcuno che si avvicinava a noi con le sue mercanzie, lo mandava via con due occhiacci da far paura. «Padrino (sic) no, no, venire con io negozio; buon mercato, qui troppo carine». Altro che carine. Un tale per un bocchino, che sembrava di ambra, domandò 65 lirette; D. Pojer gli diede 5 sole lirette, e... fu contento. Se non state attenti vi portano via anche la camicia; sono birbanti matricolati, nati col prurito sulle dita, strozzini diplomati. Se sentiste che prezzi. Un po' non fa meraviglia, se si pensa che questi poveri diavoli, non possono vivere che alle spese del malcapitato straniero: ma è troppo. Li vedete nelle loro lunghe vestali a tanti colori, con il fez in testa, oppure con un semplice straccio sudicio aggirato sul capo a mo' di turbante: la maggior parte scalzi, sporchi, abbronzati quasi neri; tra loro vedete anche i piccoli moretti, con le labbra in fuori, impatinati al lustrafino. Nelle vie un chiasso indiavolato: sulle porte dei negozi musica a tutto andare, grammofoni, radio, violinisti, chitarre, tamburi. Se passate davanti, subito escono in tre o quattro, e con un sorriso sulle labbra, gentilissimamente, tirandovi anche per un braccio, vi invitano ad entrare. «Venire, venire, tutto pronto, tutto pronto», e vi corrono dietro insistendo continuamente, senza mai scoraggiarsi. Abbiamo fatto un sacco di risate: e sempre accompagnati da quel bel tipo delle cinque lirette, il quale finalmente, vedendo che non concludeva niente, ci salutò garbatamente e con passo lungo e cadenzato, testa dritta e petto in fuori, se n'andò pei fatti suoi.

Ritornando a bordo trovammo il nostro piroscafo tutto circondato da barche e barchette. Chi veniva a vendere frutta, chi tappeti bellissimi, istoriati in tutte le maniere, chi sigarette, dolci, giornali, francobolli, ecc. ecc. Vi erano anche dei poveri diavoli che facevano i tuffi nel mare per prendere i soldi che i passeggeri della nave gettavano in acqua per vederli guizzare come i pesci. Gridano tutti senza mai stancarsi, con una pazienza mirabile. Sempre così quando si tratta di soldi. Pensate che un cameriere, forse inconsciamente, lanciò fuori dal ponte una manata di vasetti di marmellata, che caddero quasi tutti nella barca di un arabo, colpendolo quasi alla testa. Poveretto, non si turbò menomamente, rimase lì con le sue mercanzie, e delicatamente prese ad uno ad uno tutti quei vasetti e li gettò in mare, sorridente come prima. Gridano la loro merce in tutte le lingue, spiegandole e dispiegandole sotto il naso dei passeggeri, e tutto sotto un sole refrigerante.

Abbandonammo Porto Said alle 12.30, inoltrandoci per il canale di Suez. La nave procede lentamente, tenendosi sempre dentro a dei paletti che segnano la profondità dell’acqua. Lungo il canale c'è la ferrovia e la strada automobilistica; tutto intorno la desolante sterilità del deserto con le sterminate dune di sabbia; ogni tanto si vede qualche beduino col suo cammello o col suo povero dromedario. Di notte il canale è tutto disseminato di luci a vari colori. È una scena fantastica, sembrano tanti lumini posti sulla mobile superficie delle acque, bianchi, rossi, verdi, tremolanti come le stelle del firmamento. Tutto il resto è monotonia.