Alla morte della sorella di P. Tarcisio Pesamosca, Eleonora, ho rinvenuto alcuni fogli dattiloscritti. Perché non andassero perduti li ho messi in computer in attesa di poterli utilizzare. Oggi, 18 febbraio 2003, li metto in Internet Silvano Zanella.

 

ADDIO AL PAESE DI CHIUSAFORTE

 

L’ultimo addio al mio paese. Chiusaforte 9 novembre 1932

L'ora della partenza definitiva si avvicinava con un senso dl profonda e quasi muta commozione dei miei cari. L'ultima notte insieme, l'ultimo pranzo, l'ultima ora. Per la prima volta dopo nove anni ci ritrovavamo tutti riuniti intorno alla tavola domestica, legati dal vincolo più bello della fraternità e dal sincero amore che unisce insieme i membri di una stessa famiglia.

«Mai più ci ritroveremo così, tutti uniti insieme, diceva la mamma mestamente, Tarcisio parte e se ne va lontano lontano e non lo rivedremo più. Gli altri due si sposeranno noi, noi andremo presto al camposanto. Ma... Iddio lo vuole».

«Eh via, che pensieri, che auguri! dicevo scherzosamente io, proprio in questo giorno così lieto, quando bisogna star tutti allegri e contenti. Ma quanti anni avete... 50? 51? ebbene prima di arrivare ai 100 ce n’è ancora del tempo. Ci rivedremo, ci rivedremo!!».

L’anima mia provava due diversi sentimenti una gioia immensa perché l’ora della partenza per la sventurata Cina si avvicinava, anzi era venuta; una commozione nostalgica, perché abbandonavo forse per sempre la mia cara famiglia. Vinceva la gioia: tutti mi vedevano sorridere.

Nel frattempo giungeva da Pontebba, come una buona mamma, la sig.ra Maria Friz, ottima madre cristiana, mia compaesana e vicina di casa. Veniva con la gioia di fare un gradito presente al giovane missionario, come omaggio e ricordo di Chiusaforte. Una bella penna stilografica in oro, un portafoglio unito ad un portamonete.

Ma l’ora s’avvicinava: gli ultimi addii. Mi recai alle scuole dove salutai il mio vecchio e buon maestro, la mia maestra. Dissi anche due parole agli scolari, ed infine diedi loro da baciare il crocefisso che portavo sul petto. 

All'albergo Martina intanto, si erano radunate le persone più autorevoli e più degne del paese per improvvisare una piccola dimostrazione di affetto e di stima al giovane missionario. Mezz'oretta di cordiale conversazione, un discorso d'addio, due parole di ringraziamento. Sentivo in me l'eccelsa dignità di missionario, come pure scorgevo lo stesso sentimento sulla fronte dei presenti. Il tempo passa; bisogna avviarsi alla stazione. Un vermut, un brindisi in onore del partente, strette di mano, auguri, addii. Poi quasi tutti alla stazione. Un bel numero di fanciulli, i benedetti pargoli, che hanno strappato le tenerezze di Gesù, mi precedevano in un confuso chiacchierio sommesso, erano gli scolari; accanto avevo le persone amiche, mio fratello. Alla stazione trovai altra gente: vidi tanti che attendevano. Ma che c'è? chi parte? perché tutta questa gente?... Compresi. Il missionario che parte per lidi inospitali e lontani, sacrificando tutto e tutti, desta nei cuori un senso di profonda venerazione, e ne strappa un palpito di verace, e direi quasi istintivo affetto.