COLOMBO - CEYLON - 24.11.1932

Brutta giornata: caldo da soffocarsi: di notte non si dorme: il mare è grosso, le onde ci vengono di traverso producendo il cosiddetto rollio, nato apposta per far venire il mal di mare.    

Arrivammo a Colombo nel pomeriggio. Il porto non è tanto grande, né è bello come quello di Bombay. Il nostro colosso si ancorò lentamente vicino ad altre navi. Si gettò il ponte non sulla panchina, ma su una grande zattera in mezzo al porto. In un attimo la nave fu invasa da una quantità di indigeni, tutti neri, con i capelli lunghi e sciolti, scalzi, con il solo perizoma ai fianchi, correvano qua e là, scavalcavano ponti, salivano scale, gridando, vociando in una maniera indiavolata. Se non sapeste che sono i facchini del porto, vi sembrerebbe di trovarvi in mezzo ai pirati. Ma è quello il modo da fare, capperi, vogliono forse anche costoro l’aumento? Macché, la nostra nave ha fretta e vuol ripartire subito. Se vedeste, che tipi, che ceffi, se sentiste che voci, che grida. Tirano, mollano, attaccano gomene ad ogni cantone, mettono in moto le gru, levano la merce, tutto in un baccano indescrivibile. Qualcuno con un tono simpatico ci diceva con un sorriso: «Buon giorno, padre, buon giorno; io cattolico, cattolico». Faceva un inchino e via per le sue faccende.

Scendemmo a terra insieme a quel signore italiano, di cui ho parlato di sopra: lui è stato altre volte a Colombo, parla inglese, e sa interdersi pure in malese. La città ha delle vie magnifiche, pulite, asfaltate, fiancheggiate da alberi maestosi... Abbiamo fatto una passeggiata di quasi due ore, sempre a piedi, per sgranchirci un po' le gambe. Siamo passati per la magnifica passeggiata lungo il mare, qualche cosa di meraviglioso, un incanto: la natura sembra aver qui profuso tutte le sue bellezze. Prati verdi, smaltati di fiori d'ogni forma e d'ogni colore; palme alte alte, con i loro frutti; si vede la banana, il cocco, l’ananas, magnolie, allori colossali, tutto, una vegetazione lussureggiante: non c’è da meravigliarsi, siamo nell'isola di Ceylon, bella tra le belle, per la sua flora. Ma anche in questa bella città, una cosa assai strana: l'immensa quantità di corvi. Per carità, quanti corvi, migliaia e migliaia, in piena città come i passeri, come le rondini: vedete alberi tutti neri, carichi che non vi dico; e che musica: qua, qua, quaaa una vera cuccagna per i preti! né si capisce la ragione per cui li rispettano, perché, capperi, non sono per niente una bellezza, anzi rappresentano piuttosto qualche pericolo passando sotto gli alberi: ben lo sa chi lo provò, e tanto basti. Forse anche qui c'entrerà la metempsicosi...

Gli indigeni sono meglio vestiti che a Bombay, certo vestiti molto economici, poca roba in tutto. Tutti scalzi, non ho visto un negozio di scarpe, né una bottega di calzolaio. Sono tutti di color bruno, lustri come se si fossero dati la crema sul viso. Tanti hanno calzoncini corti, bianchi, con la camicia in fuori, uno straccio o un fez in testa. Altri portano una veste lunga a più colori, che fermano ai fianchi, aperta, e che facilmente si può levare, o arrotolare intorno alla vita. Altri vanno abbigliati in una forma ancora più adamitica: mezzo corpo tutto nudo, neri, neri, brutti, coi capelli lunghi e sciolti dietro le spalle, gambe nerborute, passo saldo e lungo, sguardo vivace, senza calzoni, con una semplice gonnella corta corta ai fianchi, sembrano ancora completamente selvaggi. Tra loro vedete pure i malesi, che si distinguono facilmente per la formazione della faccia, per la speciale toilette dei capelli: una treccia di dietro, e davanti un pettine a semicerchio ornato di perle. Bel tipi poi sono i colies, voglio dire gli uomini-cavallo, indigeni, che con la loro leggera e graziosa carrozzella vi portano in qualunque luogo della città. Corrono come cavalli, resistono al trotto più ore, senza stancarsi apparentemente, ma ho sentito anche che molti di loro muoiono tisici. Non appena vi vedono, vi saltano subito addosso invitandovi a salire. Bestemmiano qualche parola in tutte le lingue. Sanno perfino distinguere a prima vista la nazionalità del forestiero: ci hanno sempre presi per italiani. Padre, venire, venire, io cattolico, cattolico. sembrava però che questi bei tipi fossero tutti cattolici; e sarebbe da augurarselo, ma temo non fossero cattolici che per il momento in cui passava il missionario.

Uno però, simpaticissimo, snello ed arzillo, bruno, coi suoi occhi neri e vivaci, era veramente cattolico. Era un gusto sentirlo parlare. «Padre, io cattolico, avere medaglia S. Antonio. Vedere, vedere». E tirò fuori dal cassetto della sua carrozzella la medaglia di San Francesco Saverio. Ci accompagnò per un buon tratto, sempre chiacchierando. «Io condurre vedere città; io non scuola, ma sapere inglese, français, doic, taliano, olandes, spanuolo. Oh bravo! Bravo! - Io condurre marchetto, marchetto». Bene bene andiamo. Chi sarà questo Marchetto? Certo dal nome dev'essere un italiano: meno male che fra tanti stranieri si può vedere una faccia italiana. «Venire, venire, io condurre marchetto; banane, ananas, cocò, tutto, tutto essere marchetto». Ma chi sarà questo Marchetto? Un mercante? - Domandammo in inglese che cosa intendesse per Marchetto... Era il mercato di Colombo. «Oh ies, oh ies». Vedemmo una chiesa, bella all'esterno, di stile gotico. Domandammo al nostro Marchetto: Chiesa cattolica? «Ies, ies». Andiamo dentro, era semplicemente protestante. Dentro poi c'era un povero vecchio, mezzo nudo, brutto, gobbo, nero, sporco, coi capelli lunghi e incolti, due occhiacci, un aspetto così spaventoso, che gli mancavano solo i corni ed era il diavolo.

- Fuori, fuori, per carità, che non ci facciamo protestanti. Bravo Marchetto, sei più cattolico del tuo biroccin. Va’ là sta sempre bene, addio.

Per farci un'idea anche del rimanente di Colombo, cioè della parte popolare, ci siamo messi per una via brutta ma rigurgitante di gente. Non l'avessimo mai fatto! Che quartiere, che via, che odore, di selvatico, un fetore a 96 gradi per lo meno. La gente sdraiata sulle stuoie fuori di casa, tra le immondizie; le mamme con i bambinetti dietro le spalle in sacchetto: queste povere creaturine senza abitini, sporchi, pieni di croste e di piaghe puzzolenti. E che botteghe, via via presto, che si soffoca, si asfissia. Vedere invece le belle vie coi magnifici palazzi, con i negozi, le vetrine con ogni genere di articoli, i più svariati, i più belli: lavori finissimi, in avorio in ambra, in oro, in argento; stoffe d'ogni genere, perle, gioielli, ecc. ecc.