Martedì 7 Giugno 1949

Ieri, all’improvvisa chiamata della Questura, dovetti consumare in fretta l’Eucarestia, che ancora conservavo. Oggi ho potuto celebrare quietamente, ma senza paramenti di sorta. Avevo però quasi tutto il resto: pietra sacra avvolta in tovaglia, corporale, animetta, calice, patena, crocefisso, l’ostia e il vino.

Lui e lei sono corsi ai ripari mandando una guardia a chiedere altri soldi per il viaggio. I soldi non vengono concessi; si concede di ritirare una guardia per diminuire la spesa. 

Mercoledì 8 Giugno 1949

Per la prima volta ho visto i treni col k’ang (letto cinese); forse sono di costruzione giapponese. Belle carrozze lunghe venti metri.

Siamo a Pechino alle 2.30. Passiamo in Questura presso la stazione e poi siamo indirizzati ad un albergo vicino. La spesa per quattro sarebbe di 580 dollari, lui non accetta e finiamo sotto la tettoia della stazione. Alle cinque: biglietti. Alle 6.20 si parte per CHANG-KIA-KOW; alle 10 siamo a NAN-KOW.

Cerco di riconoscere questi luoghi che non vedo più da tredici anni. Non si arriva mai a questa SUAN-HWA! Molto trasformata dai giapponesi.

Viaggio nella carrozza riservata ai militari e la mia scorta mi sta schierata di fronte.

Osservo come tutta questa gente, accesi nazionalisti vestono tutti alla foggia straniera, sia pure con molta goffaggine. Tutti fanno sfoggio di grandi borse di cuoio, preda di guerra presa ai giapponesi. Solo che il cinese è sempre cinese e invece di riporvi le carte topografiche, gli oggetti di cancelleria e simili, vi ripone più modestamente il suo asciugamani.

Anche le armi sono di una grande varietà: tutti i tipi, tutti i calibri; la quantità poi è tale che credo che il loro peso uguagli quello delle nostre persone. Ne vanno molto fieri perché sono persuasissimi di aver cacciato proprio loro i giapponesi dalla Cina. La guardia che mi accompagna mi ha dato un particolare curioso circa le armi. Essendo produzione giapponese, portavano il marchio di fabbrica giapponese; ciò non poteva andare: era troppo ostico. Hanno preso allora una lima, ed hanno cancellato quella traccia antipatica. Questo sì che è un dimostrarsi logici fino in fondo!

Questa è un’espulsione radicale del Giappone!

Alle 17 siamo a KAL-GAN; alle 18 alla direzione provinciale della pubblica sicurezza.

Lui e lei sono molto bene accolti da un amico personale; anche la guardia dopo un po’, può lavarsi e mangiare. Io vengo trattenuto in cortile come un mendicante e per lavarmi e mangiare devo attendere fino alle 20. Essendo un po’ sudato, mi prendo un po’ di mal di ossa; quassù fa fresco (700 m.l.m.).

Inventario alla mano vollero incominciare il controllo dei miei oggetti in mezzo al cortile, quando già faceva scuro. Finalmente si trovò una stanza e mi vennero assegnate tre

guardie. Alle 23 posso dormire coi tre custodi al fianco. 

Giovedì 9 Giugno 1949

Mi era stato spontaneamente promesso che per la recita delle mie preghiere sarei stato lasciato libero e solo e che le guardie sarebbero uscite di stanza. Invece trovo ogni sorta di opposizione e derisioni. Dopo lunga e paziente attesa, vedendo la loro ferma decisione di impedirmi di celebrare la Messa, mi ritiro in un localuccio annesso alla camera, dove sussiste ancora una piccola cucina. La guardia numero 2 va a dare avviso ai compagni e ne conduce più di una dozzina. A stento e con il cuore trepidante posso arrivare fino al Postcommunio; dopo devo interrompere. S’erano messi a fare una vera canea dentro e fuori pestando la porta, la finestra, il tetto assai basso, e certe macchine sfasciate che stavano nel cortile. I più forsennati entrarono nel piccolo locale mettendo le mani sugli oggetti sacri. Li redarguii come meritavano. Nel pomeriggio vengo chiamato dai dirigenti. Lunga conversazione (due ore) per via del passaporto popolare. Senza alcuna fatica riesco a dar loro piena risposta su tutto. Non sanno dove attaccarmi. Sono quasi una dozzina, tra grandi e piccoli gerarchi e nessuno osa sostenere il mio sguardo, che pure non doveva essere affatto fiero. Parlandomi chinano tutti la fronte a terra, se li guardo. Penso semplicemente che Qualcun altro era alle mie spalle e mi proteggeva: “Quando sarete chiamati davanti ai tribunali, non preoccupatevi come parlerete...”.

Richiamano i contrasti di LAI-YUAN, e così ho occasione di accusare quei signori di furto e di noncuranza. Accusano la botta e promettono di indagare. Denunzio anche i fatti del mattino e non sanno come scusarsi. Si vantano troppo di rispettar la libertà di culto, ma i fatti sono contro di loro. Il Commissario-capo era un bel giovane, piuttosto basso di statura, eon due ocehi tondi da non sembrare nemmeno cinese. Occhi belli, profondi, ma velati da una cattiveria nascosta. Non sapendo eome concludere, cominciò ad eccitarsi a freddo, come usano i cinesi, uomini e donne. Quegli occhi divennero scintillanti, ma quella bocca non sapeva ehe parole pronunziare. Cercò di darsi tono e terminò col raccomandarmi di diportarmi bene ehe ne avrei avuto per poco. “Appena il Governo Generale della Cina ci avrà passato i suoi ordini, ti invieremo a Pechino”.

Tutto il giorno mi hanno fatto desiderare la bicicletta; ieri sera non potemmo ritirarla subito dalla ferrovia. L'hanno poi ritirata loro e se ne sono serviti per scorazzare: son tutti ragazzi. La credevo già partita anche quella. 

Venerdì 10 Giugno 1949

Ho un orecchio ehe non ci sente e mi dà un poco di fastidio. Hanno promesso di chiamare loro un medico o di mandarmi fuori. Hanno promesso che penseranno loro al bucato, alla posta, a tutto. Hanno promesso... ma il medico, probabilmente è ancora a balia.

Arriva anche un cinese, arrestato come me e viene alloggiato nella camera vicina. È un tipo chiuso, malaticcio, veste alla militare, ma è difficile in questa Repubblica distinguere i militari dai civili. 

Sabato 11 Giugno 1949

Come grande privilegio riesco ad avere in uso per due ore i miei oggetti da toeletta, sartoria, ecc. Volevano pensare loro anche a questo, ma infine hanno permesso che ci pensassi io. Nella camera vicina vengono alcuni carceratì a scrivere un lungo “saggio” di elogio e di ravvedimento (5 ore). Fra qualche giorno toccherà, forse, anche a me. 

Domenica 12 Giugno 1949

Il cortile dove sono confinato misura 25 per 10 metri: di qui non mi è lecito uscire. Su un lato ci sono quattro grandi camere che una volta erano aule scolastiche; ci sono ancora certe lavagne lunghissime. A sud un’altra casa cinese, del tutto simile; agli altri due lati un cortile interno e la strada pubblica.

Al di là della strada si intravvede una sede del Partito, sormontata da lampioncini e stella rossa.

Occupo il mio tempo studiando un po’ di catechismo. Quando non riesco a leggere qualche carattere lo domando ai miei giannizzeri, non ne sanno molto neanche loro, specialmente di terminologia cristiana, ma anche quando li conoscono me li insegnano ben di mala voglia...

Pensate: loro, nemici accesi della religione, dover insegnare il catechismo a me che sono prete e straniero!

Oggi ho esposto l’immagine del sacro Cuore di Gesù, appendendola sopra il mio giaciglio. L’hanno guardata biechi, ma per non tradirsi troppo hanno dovuto lasciare andare. La seconda guardia ha arrischiato un insulto, ma se l’è sentito ricadere sul capo. Non oso conservare l'Eucarestia stando in mezzo a questi manigoldi. Spedisco una lettera dalla portineria, ma sono poco persuaso che possa arrivare. 

Lunedì 13 Giugno 1949

Ho notato come le tre guardie che mi sono state assegnate nel tipo e nel carattere assomigliano assai alle tre di LAI-YUAN. Si vede che ciò dipende dai principi della scuola e

ognuna ha una sua funzione speciale. Per esprimermi con un paragone dirò che uno è ape, il secondo vespa, e il terzo è calabrone. Tutti e tre sono armati di pungiglione, ma chi è ape ha l'incarico di fare la bocca mielata e di salvare la situazione quando diventa difficile; chi è vespa ha funzione provocatoria in tutti i modi, senza lasciarsi fermare da nessun argomento; chi è calabrone ha funzione intimidatoria e di forza, in caso di bisogno. Con questi tre gioielli al fianco un detenuto qualunque è costretto a rivelarsi.

Vi seguono dappertutto e qualunque cosa notino devono scriverla per riferire a chi sta sopra di loro. Durante il viaggio da PAO-TIN-FU a CHANG-KIA-KOW la mia scorta includeva anche una donna, come ho già raccontato. Il metodo della botta e della carezza è una buona tradizione russa.

Tutto il pomeriggio ha fatto un gran piovere; l'acqua ha infracidato e disfatto le finestre di carta, ma i cinesi non se ne accorgono nemmeno. 

Martedì 14 Giugno 1949

Il poliziotto calabrone è tornato a mezzanotte con un violino cinese; ora non fanno altro che farlo stridere. Non se ne intendono e ne cavano proprio musica da negri. I curiosi (poliziotti) non mancano di venire a visitarmi.

Ne ho messi alla porta più di uno, con bel modo, richiamando la osservanza del regolamento e degli ordini dei superiori. Al suono di un tale tasto restano incantati e a bocca aperta vedendomi tanto zelante e deciso. Uno fece l'atto di ribellarsi e di aggredirmi, ma poi pensò meglio di andarsene. Anche il mio vespa ho zittito più di una volta. È un metodo comodo: faccio bella figura e mi libero dagli importuni. Un tale viene ad accusarmi di superstizione, ma lo rimando presto malconcio. 

Mercoledì 15 Giugno 1949

Oggi ho dovuto farmi forte per non permettere loro l'uso del mio rasoio (volevano radersi la testa). Sono rimasti seccati, ma hanno dovuto piegarsi. Studiano fervorosamente i libri di propaganda comunista e ostentano l'uso della nostra cronologia occidentale, scartando quella tradizionale della loro Repubblica.

Verso sera vedo issata una bandiera rossa con falce e martello e nient'altro. Non sarebbe meglio che si astenessero dall’accusare tanto i nazionali di vendere la Cina all'America?

Verso le 23.30 mi sveglio e sento i miei tre che se la contano sul mio conto, credendomi addormentato. Io fingo di dormire e li ascolto per mezz’ora. Niente di particolare. Derisione stentata, a fior di labbra, circa la Messa. Induzioni e supposizioni circa la moglie ed i figli che dovrei avere. Discorsi da soldati.