Capitolo IV

DUE GRANDI DONNE 

Mentre Don Gaspare, coadiuvato da una bella corona di giovani sacerdoti e di chierici volonterosi, attendeva alla salvezza della gioventù per mezzo degli Oratori mariani, la sua illustre concittadina, la Beata Maddalena di Canossa, si industriava di portare avanti e di sviluppare in qualche modo il suo Ritiro-Istituto a favore delle fanciulle più abbandonate. Lo aveva incominciato nel 1799, quando aveva 25 anni ed era gravata da non pochi impegni di famiglia. Man mano che il fratello Bonifacio e le due sorelle minori si sposarono, lei restò più libera e poté attendere con più dedizione alle sue opere di carità. I trambusti di quegli anni le impedirono non poco, ma finalmente giunse il giorno dell'apertura ufficiale della sua Istituzione: 8 maggio 1808. In quel giorno Mons. Innocenzo Liruti, nuovo Vescovo giunto in Diocesi da appena due mesi, costituiva assistente ecclesiastico del nascente Istituto Don Ga­spare Bertoni. Certo fu consigliato in questo da chi conosceva il Bertoni meglio di lui, e noi potremmo fare i nomi di Don Nicola Galvani e di Mons. Dionisio Dionisi, ma il fatto deve assolutamente essere rilevato, perché il Bertoni aveva solo 30 anni, si trattava di un Istituto femminile appena na­scente e non ancora bene determinato, e i tempi erano quelli che abbiamo detto.

La sede vescovile era rimasta vacante due anni, e ciò aveva contribuito assai ad aggravare la situazione nel campo ecclesiastico.

Se, dunque, in quelle circostanze fu prescelto proprio il Bertoni, vuol dire che la stima di cui godeva e il presentimento che dava di sé erano grandi. E veramente seppe corrispondere alla fiducia del Vescovo e degli altri suoi Superiori, poiché noi lo vedremo tolto dal monastero dei Santi Giuseppe e Fidenzio solo per essere impiegato in opere di maggiore responsabilità e di più vasta portata.

Detto questo per puntualizzare la situazione e per spiegare il perché di questo capitolo, vogliamo dire qualche cosa della Beata Maddalena di Canossa e di Leopoldina Naudet, che le fu compagna per qualche tempo.

Maddalena di Canossa innovò in sé gli splendori della antichissima ava Matilde, assicurandosi una gloria imperitura non meno di lei.

Certe vicende familiari l'assomigliano un poco al nostro Don Gaspare, perciò tanto più volentieri ne parliamo.

Figlia del Conte Ottavio, era nata in Verona il 1° marzo 1774, aveva perciò tre anni e sette mesi più di Don Gaspare. La madre era una ungherese: la contessa Teresa Szluha. In pochi anni erano nati cinque figli: una sorella maggiore Luisa, poi Maddalena, poi il fratello Bonifacio, e poi ancora due sorelle. Nel 1779 il padre morì, colpito da improvviso malore. La vedova rimase per due anni insieme col suocero Carlo e coi cognati, ma poi la sua femminilità e l’ardore magiaro la portarono ad un nuovo matrimonio col Marchese Zenetti, mantovano. Non poté portare con sé i figli, che pure erano ancora tanto teneri (la maggiore toccava appena i dieci anni), poiché la volontà del suocero e la dura legge della nobiltà lo vietavano. E così i cinque bambini rimasero due volte orfani, pur avendo la madre ancora viva.

Maddalena, straordinariamente dotata, ne soffrì moltissimo. Nonostante la tenera età aveva presentito che quel Marchese Zenetti che veniva per casa, le avrebbe fatto un gran danno rubandole la mamma. Due anni prima, per un fatto singolare ma accertato, aveva presagita anche la morte del padre. Un cuore così acceso e una sensibilità così acuta resero quanto mai penetranti tutte le prove che le erano riservate.

Educata da una dura istitutrice francese, seppe sottomettersi ed obbedire sempre, con una costanza eroica e singolare. Il suo modo di fare, di esprimersi e di diportarsi rivelavano in lei più che la fusione, la coesistenza delle virtù proprie dei due ceppi da cui aveva avuto origine: l'italiano e l'ungherese.

Ella soleva dire di sé di essere una veronese nata e cresciuta alle fresche aure del Monte Baldo, e i veronesi attribuiscono scherzosamente alle arie di quel monte il potere di rinfrescare i loro cervelli, oltre che le loro fertili campagne. Il buon umore e l'allegria per cui sono famosi la spiegano a questo modo.

Ma oltre che la disinvoltura e il buon umore, Maddalena mostrò sempre tanto ardore fattivo e tale intraprendenza, da recare meraviglia.

Singolare il fatto che, oltre che essere fondatrice di un Istituto femminile, lavorò non poco per dare vita a un Isti­tuto maschile, che fosse parallelo al suo. Oggi esiste un Istituto di Canossiani che la riconosce per Madre; e se il seme germogliò solo dopo cento anni, è vero che essa ispirò e consigliò il Provolo per il suo Istituto Sordomuti; che trattò coi fratelli Cavanis a Venezia, e che ebbe a fare, in questo senso, anche col Rosmini. Lei donna, in campo religioso ed ecclesiastico, dove alle donne le vie sono precluse.

Ci pare una ridondanza di carattere e di dotazione più magiara forse, che non veronese. Beata lei che seppe santificare tutte le doti di cui Dio l'aveva arricchita!

Nel 1796, quando i francesi giunsero la prima volta a Verona, lei era fuggita a Venezia con tutta la famiglia. Il loro nobile palazzo venne occupato e depredato. Al suo ritorno, sacrificando i propri gioielli, ricostituì la cappella domestica.

Nel 1807, quando Napoleone fu di nuovo a Verona nel palazzo Canossa, la Contessina, che già stava trattando col Fisco per avere il Convento di San Giuseppe, poté avere da lui qualche risposta cortese, data con generosità e ga­lanteria so­vrana, ma si sa come vanno a finire queste conces­sioni. Il Fisco è tanto mala arpia che dove ha ficcato gli artigli difficilmente li leva. La Beata dovette lot­tare con esso per avere quel monastero fino alla vigilia dell'erezione del suo Istituto.

I contatti personali fra la Beata e Don Bertoni non furono stretti. Lei viaggiava spesso e aveva per direttore spirituale Mons. Pacetti, il grande predicatore di quei tempi. A Verona usava confessarsi da Don Nicola Galvani, che era anche il confessore di Don Gaspare, dopo essere stato il suo professore di morale in Seminario. Di Don Galvani si parlerà più innanzi.

Al Ritiro di San Giuseppe c'erano una ventina di ragazze raccolte dalla strada; e c'erano altrettante donne, tutte ex religiose disperse o aspiranti religiose, veramente pie.

In questo ambiente Don Gaspare prodigò per quattro anni l'opera sua, lasciandovi insigni esempi di carità e mortificazioni, specialmente nel prestare la sua assistenza sacerdotale alle ammalate. Superiora della casa, fin dal primo giorno, fu costituita non già la Canossa che ne era la fonda­trice, ma Leopoldina Naudet: l'altra grande donna di cui vogliamo occuparci.

Era anch'essa donna di nobile stirpe, di origine francese, ed era nata nel 1773 a Firenze, dove la sua famiglia viveva alla corte degli Asburgo-Lorena.

Educata prima in Italia e poi in Francia, era stata sempre si una pietà ar­dente e di una vita più che esemplare. Sua compa­gna inseparabile la so­rella maggiore Luisa.

Rimasta orfana a 16 anni, era stata richiamata alla corte di Firenze nel 1789. L'anno seguente Leopoldo di Toscana succedeva sul trono di Vienna al fratello Giuseppe II, morto senza eredi.

Così Leopoldina passò anche lei a quella Corte, rimanendovi 10 anni. Dopo la morte (1792) del suo augusto protettore e padrino di battesimo (per questo ne portava il nome), fu assegnata al seguito di una delle tante principesse di Casa d'Asburgo: l'Arciduchessa Anna Maria Fernanda d'Austria, sorella dell'Imperatore Francesco I. Con essa visse a Praga, menando sempre vita molto religiosa e prendendo parte a molti viaggi.

In quel tempo era sorto in Italia un Istituto religioso maschile, fondato da un certo Don Niccolò Paccanari. Detto Istituto si proponeva di sostituire in qualche modo la soppressa Compagnia di Gesù e di preparare uomini adatti alla sua ripresa per il tempo in cui al Papa fosse piaciuto di ricostituirla. Tale Istituto si chiamava Compagnia della Fede di Gesù o dei Padri della Fede. Questo Istituto venne a contatto in Austria con un altro Istituto molto simile, fondato da sacerdoti francesi, dispersi dalla rivoluzione. Quello fondato dai francesi si chiamava Società del Sacro Cuore. Le due istituzioni si fusero in una sola il 18 aprile 1799.

Per iniziativa dei francesi prima, del Paccanari poi, si volle affiancare all'Istituto maschile un ramo femminile.

Perno e sostegno di questa nuova opera fu la principessa Anna Maria Fernanda, di cui il Paccanari riuscì ad acquistarsi la piena stima e fiducia. Prima superiora ed educatrice delle aspiranti fu costituita Leopoldina, che nelle vie dello spirito appariva più avanzata della sorella maggiore Luisa e dell'augusta loro signora, l'Arciduchessa. Tutte e tre, tuttavia, erano persone veramente pie e dotate di una religiosità illuminata.

Per qualche tempo vissero segretamente da vere religiose alla Corte di Praga e a quella di Vienna, ma poi ottennero di passare in Italia (1800) e si fermarono a Padova. Di là passarono poi a Roma, dove la prima casa regolare del nuovo Istituto fu aperta a Palazzo Corsini in Via della Lungara.

Il Paccanari, che aveva avuto degli inizi straordinari e prodigiosi e che in soli sei anni aveva fatto tanto cammino (da soldato peccatore ed indotto era divenuto fondatore e Superiore Generale di due Società religiose, ed aveva nel frattempo saliti i gradini del sacerdozio), dopo il 1802 cominciò ad essere attaccato con vere bordate di accuse e di calunnie, a volta a volta lanciate e poi ritrattate e disdette, ma che intanto lo gettarono nel discredito più nero presso i suoi, presso il pubblico e presso il Papa. Fu sottoposto ad inchieste e processi e finì in prigione. Si trovava in Castel Sant'Angelo quando il 2 feb­braio 1808 i francesi entravano in Roma per fondarvi la seconda repubblica romana. Da essi fu liberato dal carcere, ma poi di lui non si seppe più niente: scomparve completamente dalla storia. I religiosi da lui fondati si riunirono man mano alla risorgente Compagnia di Gesù, le religiose invece restarono abbandonate a se stesse.

L'Arciduchessa venne richiamata in Austria (1808), dove do­po breve tempo morì: 1° ottobre 1809. Parecchie aderenti si erano disperse portando nei cuori l'amarezza della disillusione. Le poche rimaste ebbero per unica loro guida ed appoggio Leopoldina Naudet, loro Superiora.

Abbandonando Roma essa si portò prima a Padova e poi a Venezia, dove sopravvivevano due piccoli nuclei delle loro discepole. Da Venezia fu avviata a Verona (1807) dall'indu­strioso canonico Pacetti, che desiderava si associasse alla Beata Canossa. La Beata stava allora tentando di aprirsi una via, e ben volentieri accettò l'apporto di quelle religiose pellegrine. Le nuove venute risiedettero per qualche tempo in un convento presso la chiesa di San Silvestro, e quando final­mente il Monastero di San Giuseppe fu reso libero dai vincoli del Fisco, passa­rono anche loro in quel sacro luogo. L'am­biente era ampio e tranquillo, e poteva comodamente contenere due comunità distinte: due covate in un nido solo. Tali furono infatti i patti fin da principio. La Naudet avrebbe aiutato e cooperato, ma avrebbe seguitato a fare Comunità da sé, con le sue proprie discepole.

La Beata Canossa seppe apprezzare nel suo giusto valore l'apporto delle Dilette di Gesù alla propria impresa, le conosceva già addestrate alla vita comune e già esercitate nella educazione della gioventù; in particolare nutrì illimitata fiducia e stima di Leopoldina Naudet, e non dubitò di avvalersi dei suoi talenti e della sua esperienza, costituendola Superiora del Ritiro. Le si strinse attorno fin dal primo giorno con tutte le altre compagne, per sentire la sua prima conferenza spirituale, e non ebbe che a felicitarsi con se stessa per aver accettato da parte del suo direttore spirituale, il canonico Pacetti, un consiglio ed un aiuto tanto opportuno. Il Signore aveva proprio provveduto Lui in quei primordi, a mandare un aiuto tanto valido da assicurare l'avviamento dell'opera.

Nel modo di educare le giovanette si rivelarono diversità di intenti fra le due sante donne.

La Naudet, fedele allo scopo del suo proprio Istituto, avrebbe voluto impartire una educazione ampia e completa, adatta alle giovani di ceto su­periore e nobile; la Canossa invece, pur essendo lei una nobile, si sentiva portata verso il popolo più miserabile, per dargli una educazione elementare.

Non sorsero contrasti apprezzabili, perché le due donne erano sante, ma l'ambiente non ne era agevolato per chi doveva as­sisterlo spiritual­mente.

Prova di virtù fu il fatto che la Naudet continuò a governare tutto l'Ospizio, pur facendo comunità a sé con le vecchie compagne, in attesa di poter sciamare.

Dopo tre anni di quella vita incerta la Naudet, per chiara ispirazione divina, si sentì spinta a rimettersi con piena fiducia, per tutto quello che la riguardava, nelle mani del confessore ordinario, che così divenne, non solo suo padre spirituale nel pieno senso della parola, ma per di più consigliere ed assistente per tutto quello che riguardava la sua particolare fondazione.

Due anime si erano incontrate, e quella che prima era vissuta chiusa in sé stessa per le troppe amare esperienze della vita, poté finalmente espandersi e intraprendere a 38 anni il suo proprio cammino.

L'Epistolario Bertoni-Naudet è copioso, ed è l'unico che ci sia stato conservato. Da esso i biografi sanno ricavare molte precise notizie. A noi basti qui accennare per sommi capi a quanto ci può interessare di più.

La direzione spirituale del Bertoni alla Naudet durò otto anni; dopo fu interrotta per sempre, nonostante le insi­stenze da parte di lei. Don Bertoni se ne schermì accennando vagamente (come al suo solito) ad una qualche rivelazione divina avuta in proposito: "Quando Dio dice ad uno: Basta! - Quello non può dire: Ancora!".

La cooperazione del Bertoni all'opera della Naudet e alla fondazione del suo Istituto durò sempre, e fu quanto mai generosa, cordiale, co­stante. In particolare le prestazioni del Bertoni per compilare le regole della vita religiosa e tutto il piano degli studi furono tante e così minute che l'Isti­tuto della Sacra Famiglia potrebbe essere riguardato un po' come il secondo ordine degli Stimmatini o ramo femminile parallelo.

La stessa Fondatrice riconosceva al Bertoni questa paternità, sebbene lui non la contasse per nulla.

Ancora un fatto vogliamo notare, che accosta i due Istituti in modo singolare.

Senza che i due Fondatori lo potessero prevedere, e quindi senza che lo potessero minimamente preordinare, i due Istituti nacquero ufficialmente circa gli stessi giorni, sullo stesso terreno, con le porte a poche decine di metri l'una dall'altra, sullo stesso lato della strada, nell'unica proprietà di un terzo (Don Nicola Galvani), che nelle sue concessioni e disposizioni si era comportato con completa indipendenza.

Questo, secondo noi, è più che un fatto storico: è una particolare preordinazione della Provvidenza di Dio, di cui non si può non tenere il debito conto.

La Naudet rimase unita alla Canossa per otto anni: dal 1808 al 1816. Intanto la buriana rivoluzionaria e Napoleonica era passata, e per le fondazioni religiose si aprivano nuove vie di speranza.

Il giorno 4 novembre 1816 (lunedì) il Bertoni con due compagni si "allogava in qualche modo" (è la parola storica del cronista Gramego) presso l'oratorio delle Stimate di San Francesco; il sabato giorno 9, la Naudet con le sue compagne lasciava il Convento dei Santi Giuseppe e Fidenzio per passare in quello delle Terese.